Nel finale d’opera italiana del primo Ottocento è ricorrente il quadro di stupore: sezione concertata, in cui il tempo drammatico è bloccato e i personaggi esprimono il loro sconcerto di fronte a un colpo di scena inaspettato. A differenza della frenetica sezione conclusiva del finale a catena, praticato nell’opera giocosa italiana fin dagli anni ’70 e ’80 del Settecento, dove spesso il testo esprime lo stupore dei personaggi nel culmine della confusione dei ruoli reciproci, il Largo concertato dà voce al silenzio attonito e alle emozioni contrastanti di personaggi immobili. È dunque la dilatazione di un momento estatico, l’amplificazione di un affetto dominante in ciascun personaggio in reazione a un evento sorprendente: la sua funzione si concentra proprio sulla reazione affettiva e introspettiva, che viene platealmente esteriorizzata Questo saggio studia come sia nata e come si sia affermata questa convezione. Esito di una estetica che riconosceva l’espressività del gesto in se stesso, del tableau silenzioso in cui la significazione potesse prescindere dalla parola, essa prese inizialmente forma nel teatro coreutico e di lì passo al teatro musicale. I primi esempi sono nell’opéra-comique francese di Sedaine che nel "Roi et le fermier" per la prima volta ha attirato l’interesse sull’emozione dei personaggi immobilizzati dallo stupore. Nel teatro italiano fu introdotta invece nell’opera seria, il genere teatrale più contiguo alla pratica del balletto pantomimo. Siamo, infatti, nella piena convergenza di stilemi coreutici e operistici, in ambito tragico. Le tappe sono quelle già più volte percorse dalle ricerche sull’opera riformata: uno dei laboratori più vivaci di tale contaminazione dovette essere la collaborazione tra Mattia Verazi, Nicolò Jommelli e Noverre stesso nelle corti del Württemberg, collaborazione che produsse spettacoli come "Fetonte" (Ludwigsburg, 1768), dramma a gran spettacolo sul modello francese, forse il primo esempio di opera seria italiana dotata di Finali complessi. Già lì fitte indicazioni sceniche prescrivono i passi pantomimici e i gesti che devono assumere gli attori nel corso delle arie e degli ensembles. Solo dopo essersi radicato e consolidato in ambito tragico, il quadro di stupore passò nelle farse, prima, e nell’opera comica, poi, come citazione parodistica di una situazione sublime. Si dimostra insomma come il quadro di stupore sia stata una situazione drammatica condivisa tra diversi generi teatrali, in posizione cruciale tra teatro del gesto, della parola e della musica, in ogni caso riferito a soggetti sublimi e tragici.
Largo al Concertato! Alle origini del "quadro di stupore" / Russo, Paolo. - In: IL SAGGIATORE MUSICALE. - ISSN 1123-8615. - XV:(2008), pp. 33-66.
Largo al Concertato! Alle origini del "quadro di stupore"
RUSSO, Paolo
2008-01-01
Abstract
Nel finale d’opera italiana del primo Ottocento è ricorrente il quadro di stupore: sezione concertata, in cui il tempo drammatico è bloccato e i personaggi esprimono il loro sconcerto di fronte a un colpo di scena inaspettato. A differenza della frenetica sezione conclusiva del finale a catena, praticato nell’opera giocosa italiana fin dagli anni ’70 e ’80 del Settecento, dove spesso il testo esprime lo stupore dei personaggi nel culmine della confusione dei ruoli reciproci, il Largo concertato dà voce al silenzio attonito e alle emozioni contrastanti di personaggi immobili. È dunque la dilatazione di un momento estatico, l’amplificazione di un affetto dominante in ciascun personaggio in reazione a un evento sorprendente: la sua funzione si concentra proprio sulla reazione affettiva e introspettiva, che viene platealmente esteriorizzata Questo saggio studia come sia nata e come si sia affermata questa convezione. Esito di una estetica che riconosceva l’espressività del gesto in se stesso, del tableau silenzioso in cui la significazione potesse prescindere dalla parola, essa prese inizialmente forma nel teatro coreutico e di lì passo al teatro musicale. I primi esempi sono nell’opéra-comique francese di Sedaine che nel "Roi et le fermier" per la prima volta ha attirato l’interesse sull’emozione dei personaggi immobilizzati dallo stupore. Nel teatro italiano fu introdotta invece nell’opera seria, il genere teatrale più contiguo alla pratica del balletto pantomimo. Siamo, infatti, nella piena convergenza di stilemi coreutici e operistici, in ambito tragico. Le tappe sono quelle già più volte percorse dalle ricerche sull’opera riformata: uno dei laboratori più vivaci di tale contaminazione dovette essere la collaborazione tra Mattia Verazi, Nicolò Jommelli e Noverre stesso nelle corti del Württemberg, collaborazione che produsse spettacoli come "Fetonte" (Ludwigsburg, 1768), dramma a gran spettacolo sul modello francese, forse il primo esempio di opera seria italiana dotata di Finali complessi. Già lì fitte indicazioni sceniche prescrivono i passi pantomimici e i gesti che devono assumere gli attori nel corso delle arie e degli ensembles. Solo dopo essersi radicato e consolidato in ambito tragico, il quadro di stupore passò nelle farse, prima, e nell’opera comica, poi, come citazione parodistica di una situazione sublime. Si dimostra insomma come il quadro di stupore sia stata una situazione drammatica condivisa tra diversi generi teatrali, in posizione cruciale tra teatro del gesto, della parola e della musica, in ogni caso riferito a soggetti sublimi e tragici.File | Dimensione | Formato | |
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