La distribuzione del cast che creò la" Fedra" di Paisiello nel 1788 a Napoli non affidò il ruolo eponimo ad una cantante di primo piano. La celebre Brigida Giorgi-Banti e il giovane Girolamo Crescentini erano stati infatti impiegati rispettivamente per i ruoli di Aricia e Ippolito, e i numeri musicali furono naturalmente graduati secondo queste gerarchie. Le “cagioni episodiche” che spinsero il librettista Salvioni a non intitolare l’opera alla coppia di amanti, come fece trent’anni prima Frugoni nell’opera per Traetta, e prima ancora Pellegrin per Rameau, ebbero quindi il sopravvento. Lo studio intende mostrare come nell’opera talvolta strategie lettererarie e musicali divergano. Se Salvioni voleva inscenare la catastrofe tragica d’una regina di stirpe maledetta dagli dei, nella vicenda musicalmente costituita la sua "Fedra" mette in scena invece le sfaccettature emotive di una coraggiosa principessa separata dall’amato eroe che, a sua volta, dimostra il proprio valore militare in una eroica impresa; su questo nocciolo emotivo costruisce poi ampie scene pittoresche (Consacrazione, Inferi, Rientro al porto) e azioni pantomimiche (lotta di Teseo con le furie, lotta di Ippolito col toro marino). Nella" Fedra" di Paisiello, dunque, Fedra è ridotta a espediente teatrale: è colei che innesca e gestisce la vicenda, ma anche colei che meno appare in termini musicali; le sue arie inframmezzano quelle di Aricia, i loro accenti di acceso e violento furore creano contrasto con la tenerezza e l’ansia della prima donna; la regina risponde insomma all’esigenza di chiaroscuro che Robinson individua tra le funzioni principali delle seconde parti. Si capiscono allora alcune novità introdotte da Salvioni nell’intreccio tradizionale: il tentativo del librettista di promuovere Fedra a protagonista della tragedia avrebbe voluto accogliere la moda del teatro terribile inoculata in Italia dalle tragedie di Alfieri come connubio di potere e terrore ma la realizzazione musicale del libretto ignora quest’intenzione. Evidentemente a Napoli l’interesse riformatore era rivolto soprattutto all’integrazione tra pantomima e canto, alla nuova impostazione dei numeri musicali, in generale a mettere in azione la scena del teatro lirico, per dirla con una vecchia formulazione diderotiana. Insomma, a differenza di quanto contemporaneamente accadeva in altre parti d’Italia, come Firenze e Venezia, al San Carlo si esploravano piuttosto le poetiche del teatro patetico e naturale di marca illuministica con ascendenze nella drammaturgia di Diderot. Studiare le varianti tra l’opera di Paisiello e quelle sul medesimo soggetto che la precedettero ("Ippolito e Aricia" di Frugoni e Traetta, 1759) e la seguirono ("Teseo a Stige" di Nasolini, 1791; "Ippolito" di Pietro Gugliemi, 1798; "La Fedra o sia il ritorno di Teseo" di Nicolini, 1804; "Fedra" di Mayr, 1821, e Orlandi, 1823) consente inoltre di osservare come nell’arco di poco più di settant’anni, nell’opera italiana non cambiarono solo tecniche e forme compositive, ma l’idea stessa di situazioni ‘musicabili’. Ci si accorge così che rendere Fedra davvero protagonista avrebbe creato a Salvioni un’altra difficoltà. L’epilogo tragico, la confessione e il suicidio di Fedra, è necessario e fondante del dramma narrabile, del mito, ma appare accessorio e trascurabile in quello musicale che infatti non gli dedica alcun numero complesso, e nell’ultima aria preferisce piuttosto dar voce all’ansia di Aricia convinta della morte di Ippolito. Salvioni e Paisiello d’altra parte non avrebbero potuto fare altrimenti: la scena della confessione e morte di Fedra aveva senso, nella tragedia come conclusione logica di una vicenda esemplare, ma nella logica di un dramma musicale non poteva avere alcun ‘peso’: se Salvioni può essere sedotto dal fascino ‘terribile’ del soggetto letterario, non ha ancora gli strumenti, poetici in primo luogo, per renderlo musicalmente rilevante. Di nuovo, logiche drammatiche letterarie e musicali divergono. Affinché un finale tragico potesse essere accettato nell’opera, e quindi diventare musicabile, era necessario che alla scena della morte venisse riconosciuto un valore autonomo in se stessa, non come momento conclusivo di una vicenda esemplare ma come valore estetico autosufficiente: è ciò che accadrà solo qualche decennio dopo. A quel punto sì, Fedra dovrà essere impersonata dalla prima donna del cast, mentre Aricia potrà essere trascurata e ridotta a pura onomastica, nome citato ma personaggio virtuale.
Fedra or Aricie? The rationale of the "cagioni episodiche" / Russo, Paolo. - In: RECERCARE. - ISSN 1120-5741. - XII:(2005), pp. 253-288.
Fedra or Aricie? The rationale of the "cagioni episodiche"
RUSSO, Paolo
2005-01-01
Abstract
La distribuzione del cast che creò la" Fedra" di Paisiello nel 1788 a Napoli non affidò il ruolo eponimo ad una cantante di primo piano. La celebre Brigida Giorgi-Banti e il giovane Girolamo Crescentini erano stati infatti impiegati rispettivamente per i ruoli di Aricia e Ippolito, e i numeri musicali furono naturalmente graduati secondo queste gerarchie. Le “cagioni episodiche” che spinsero il librettista Salvioni a non intitolare l’opera alla coppia di amanti, come fece trent’anni prima Frugoni nell’opera per Traetta, e prima ancora Pellegrin per Rameau, ebbero quindi il sopravvento. Lo studio intende mostrare come nell’opera talvolta strategie lettererarie e musicali divergano. Se Salvioni voleva inscenare la catastrofe tragica d’una regina di stirpe maledetta dagli dei, nella vicenda musicalmente costituita la sua "Fedra" mette in scena invece le sfaccettature emotive di una coraggiosa principessa separata dall’amato eroe che, a sua volta, dimostra il proprio valore militare in una eroica impresa; su questo nocciolo emotivo costruisce poi ampie scene pittoresche (Consacrazione, Inferi, Rientro al porto) e azioni pantomimiche (lotta di Teseo con le furie, lotta di Ippolito col toro marino). Nella" Fedra" di Paisiello, dunque, Fedra è ridotta a espediente teatrale: è colei che innesca e gestisce la vicenda, ma anche colei che meno appare in termini musicali; le sue arie inframmezzano quelle di Aricia, i loro accenti di acceso e violento furore creano contrasto con la tenerezza e l’ansia della prima donna; la regina risponde insomma all’esigenza di chiaroscuro che Robinson individua tra le funzioni principali delle seconde parti. Si capiscono allora alcune novità introdotte da Salvioni nell’intreccio tradizionale: il tentativo del librettista di promuovere Fedra a protagonista della tragedia avrebbe voluto accogliere la moda del teatro terribile inoculata in Italia dalle tragedie di Alfieri come connubio di potere e terrore ma la realizzazione musicale del libretto ignora quest’intenzione. Evidentemente a Napoli l’interesse riformatore era rivolto soprattutto all’integrazione tra pantomima e canto, alla nuova impostazione dei numeri musicali, in generale a mettere in azione la scena del teatro lirico, per dirla con una vecchia formulazione diderotiana. Insomma, a differenza di quanto contemporaneamente accadeva in altre parti d’Italia, come Firenze e Venezia, al San Carlo si esploravano piuttosto le poetiche del teatro patetico e naturale di marca illuministica con ascendenze nella drammaturgia di Diderot. Studiare le varianti tra l’opera di Paisiello e quelle sul medesimo soggetto che la precedettero ("Ippolito e Aricia" di Frugoni e Traetta, 1759) e la seguirono ("Teseo a Stige" di Nasolini, 1791; "Ippolito" di Pietro Gugliemi, 1798; "La Fedra o sia il ritorno di Teseo" di Nicolini, 1804; "Fedra" di Mayr, 1821, e Orlandi, 1823) consente inoltre di osservare come nell’arco di poco più di settant’anni, nell’opera italiana non cambiarono solo tecniche e forme compositive, ma l’idea stessa di situazioni ‘musicabili’. Ci si accorge così che rendere Fedra davvero protagonista avrebbe creato a Salvioni un’altra difficoltà. L’epilogo tragico, la confessione e il suicidio di Fedra, è necessario e fondante del dramma narrabile, del mito, ma appare accessorio e trascurabile in quello musicale che infatti non gli dedica alcun numero complesso, e nell’ultima aria preferisce piuttosto dar voce all’ansia di Aricia convinta della morte di Ippolito. Salvioni e Paisiello d’altra parte non avrebbero potuto fare altrimenti: la scena della confessione e morte di Fedra aveva senso, nella tragedia come conclusione logica di una vicenda esemplare, ma nella logica di un dramma musicale non poteva avere alcun ‘peso’: se Salvioni può essere sedotto dal fascino ‘terribile’ del soggetto letterario, non ha ancora gli strumenti, poetici in primo luogo, per renderlo musicalmente rilevante. Di nuovo, logiche drammatiche letterarie e musicali divergono. Affinché un finale tragico potesse essere accettato nell’opera, e quindi diventare musicabile, era necessario che alla scena della morte venisse riconosciuto un valore autonomo in se stessa, non come momento conclusivo di una vicenda esemplare ma come valore estetico autosufficiente: è ciò che accadrà solo qualche decennio dopo. A quel punto sì, Fedra dovrà essere impersonata dalla prima donna del cast, mentre Aricia potrà essere trascurata e ridotta a pura onomastica, nome citato ma personaggio virtuale.File | Dimensione | Formato | |
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