Siamo a metà degli anni sessanta quando all’interno dell’ala dei Contraorti del Palazzo della Pilotta, restaurata per l’occasione da Guido Canali, nasce l’Istituto di storia dell’arte dell’Università di Parma. Le primissime ricerche attive, sotto la direzione di Arturo Carlo Quintavalle, sono lavori costruiti su tre grandi filoni: la pop art, l’informale e i media. Quest’ultimo, che si muove tra la pubblicità e il design del prodotto, è quello che più si svolge all’interno dei corsi universitari e conduce ben presto al coinvolgimento degli studenti nella raccolta di materiali e realizzazione di mostre. Nel gennaio 1970 inaugura La tigre di carta il cui titolo è ripreso dallo slogan con cui Mao Tse-tung identifica gli Stati Uniti come paper tigers, una potenza apparente che, nel contesto della mostra, si riferisce alla retorica pubblicitaria. Quintavalle guarda agli Stati Uniti come il luogo dove l’elaborazione linguistica è incessante e dove si sperimentano i limiti della definizione del fatto artistico e proprio negli Stati Uniti si ritrova la radice del modello di ricerca e raccolta del nascente Centro studi e archivio della comunicazione (CSAC). I materiali esposti vengono recuperati da aziende e multinazionali, i simboli, le scatole, le aches. Questi oggetti, così come il metodo di lavoro, ben si intrecciano con il vocabolo che emerge con insistenza da lì a poco, dalle pagine di NAC alle vicende internazionali, l’archivio. Una direzione metodologica che mira a una raccolta di materiali per una storia totale dei fatti della comunicazione degli uomini, in un’operazione di raccolta storiografica per generare da una collezione un modo di fare storia. L’idea di una paritetica inclusione di ogni materiale all’interno della raccolta, e l’assenza di scarto nel rispetto del principio di provenienza, portano ben presto alla definizione dell’entità progetto – come ha scritto Quintavalle nel 2010, “l’arte è sempre progetto e quindi percorso di organizzazione e scelta del reale” . Consolidano questa linea le mostre Parola/Immagine (1971), Max Bill (1977), Bruno Munari (1979) e le nuove acquisizioni che da fine anni settanta si muovono nell’ambito dell’architettura e del design e, in ultimo, della moda. Negli anni ottanta le esposizioni, da Rosselli (1981) e Mari (1983) a Brunetta (1981) e Sorelle Fontana (1984) confermano non solo il ruolo del disegno all’interno del design e della moda ma anche dell’archivio come luogo nuovo per leggere arte e progetto nel Novecento.
Il Centro studi e archivio della comunicazione. Dalle paper tigers al design / Manfredi, MARIA CHIARA. - (2022). (Intervento presentato al convegno Design esposto. Mostrare la storia / la storia delle mostre. V convegno AIS/Design tenutosi a IUAV, Venezia nel 26-27 novembre 2021).
Il Centro studi e archivio della comunicazione. Dalle paper tigers al design
Maria Chiara Manfredi
2022-01-01
Abstract
Siamo a metà degli anni sessanta quando all’interno dell’ala dei Contraorti del Palazzo della Pilotta, restaurata per l’occasione da Guido Canali, nasce l’Istituto di storia dell’arte dell’Università di Parma. Le primissime ricerche attive, sotto la direzione di Arturo Carlo Quintavalle, sono lavori costruiti su tre grandi filoni: la pop art, l’informale e i media. Quest’ultimo, che si muove tra la pubblicità e il design del prodotto, è quello che più si svolge all’interno dei corsi universitari e conduce ben presto al coinvolgimento degli studenti nella raccolta di materiali e realizzazione di mostre. Nel gennaio 1970 inaugura La tigre di carta il cui titolo è ripreso dallo slogan con cui Mao Tse-tung identifica gli Stati Uniti come paper tigers, una potenza apparente che, nel contesto della mostra, si riferisce alla retorica pubblicitaria. Quintavalle guarda agli Stati Uniti come il luogo dove l’elaborazione linguistica è incessante e dove si sperimentano i limiti della definizione del fatto artistico e proprio negli Stati Uniti si ritrova la radice del modello di ricerca e raccolta del nascente Centro studi e archivio della comunicazione (CSAC). I materiali esposti vengono recuperati da aziende e multinazionali, i simboli, le scatole, le aches. Questi oggetti, così come il metodo di lavoro, ben si intrecciano con il vocabolo che emerge con insistenza da lì a poco, dalle pagine di NAC alle vicende internazionali, l’archivio. Una direzione metodologica che mira a una raccolta di materiali per una storia totale dei fatti della comunicazione degli uomini, in un’operazione di raccolta storiografica per generare da una collezione un modo di fare storia. L’idea di una paritetica inclusione di ogni materiale all’interno della raccolta, e l’assenza di scarto nel rispetto del principio di provenienza, portano ben presto alla definizione dell’entità progetto – come ha scritto Quintavalle nel 2010, “l’arte è sempre progetto e quindi percorso di organizzazione e scelta del reale” . Consolidano questa linea le mostre Parola/Immagine (1971), Max Bill (1977), Bruno Munari (1979) e le nuove acquisizioni che da fine anni settanta si muovono nell’ambito dell’architettura e del design e, in ultimo, della moda. Negli anni ottanta le esposizioni, da Rosselli (1981) e Mari (1983) a Brunetta (1981) e Sorelle Fontana (1984) confermano non solo il ruolo del disegno all’interno del design e della moda ma anche dell’archivio come luogo nuovo per leggere arte e progetto nel Novecento.File | Dimensione | Formato | |
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