La tipicità, riferita a un prodotto agroalimentare (ma non solo), è una caratteristica che normalmente si costruisce attraverso l’identificazione con un territorio, la cui delimitazione, però, è sempre frutto di un’operazione artificiosa e che risponde a logiche esclusivamente economiche. L’altro elemento sarebbe la tradizione, ma qui il discorso è ancora più complicato, perché, come si sa, la tradizione si può inventare, anzi, la tradizione è sempre il frutto di un’invenzione più o meno recente. Tolto, quindi, il territorio (che ha confini arbitrari) e tolta la tradizione (che è inventata), cosa rimane per definire un prodotto tipico? Territorio e tradizione sono elementi che identificano la produzione, in termini economici diremmo l’offerta. Invece il prodotto tipico dovrebbe essere riconosciuto attraverso coloro che lo consumano, cioè la domanda. Chi lo produce, come lo produce, con quali ingredienti, con quali tecnologie, ecc. ecc., dovrebbero essere elementi irrilevanti nel definire un prodotto tipico; quello che conta è chi lo consuma, con quale intensità e da quanto tempo. Allora, se i prodotti tipici si identificano per la platea dei consumatori e per la stabilità del prodotto stesso, la conclusione non può che essere una: i prodotti tipici possono comprendere anche quelli che normalmente consideriamo industriali. La Nutella, la Cedrata Tassoni, il Chinotto San Pellegrino, l’Amarena Fabbri, il Fernet Branca, il Martini, il Cornetto Algida, il Crodino, la Coppa del Nonno, i Baci Perugina, il Buondì Motta, il Cynar e mille altri prodotti industriali italiani, non hanno meno storia, meno radicamento nel mercato nazionale e meno tradizione tecnica del pomodoro di Pachino, del prosciutto San Daniele o del Dolcetto d’Alba. Anzi, ne hanno di più. Persino il totem della tipicità italiana, la pasta, è tipica proprio in quanto industriale; una delle marche più prestigiose, la De Cecco, infatti, recentemente ha dovuto chiarire una volta per tutte che la qualità dei suoi prodotti non dipende dalla provenienza italiana delle materie prime, ma dalla loro selezione e, soprattutto, dal processo produttivo standardizzato e controllato. Quando la pasta era solo artigianale e con materie prime a km 0, il 99,9% degli italiani non sapeva nemmeno cosa fosse. In estrema sintesi, attraverso alcuni esempi storici concreti, in questo paper intendo ribaltare completamente un paradigma storico consolidato, anzi, direi un paradigma culturale che sembrerebbe essere diventato ormai una verità indiscutibile che nessuno si sogna nemmeno più di mettere in dubbio. Potremmo sintetizzare così questa innegabile apparente verità: un prodotto alimentare industriale è per definizione meno radicato in un territorio, meno genuino e quindi meno buono di tutto ciò che non è industriale. Io credo che la storia dell’industria agroalimentare italiana dimostri come molto spesso valga l’esatto contrario.

La tipicità è industriale. Il paradosso dell’agroalimentare italiano / Grandi, Alberto. - STAMPA. - (2019), pp. 20-34. (Intervento presentato al convegno Il settore agro-alimentare nella storia dell'economia europea tenutosi a Brescia nel 2018).

La tipicità è industriale. Il paradosso dell’agroalimentare italiano

Alberto Grandi
2019-01-01

Abstract

La tipicità, riferita a un prodotto agroalimentare (ma non solo), è una caratteristica che normalmente si costruisce attraverso l’identificazione con un territorio, la cui delimitazione, però, è sempre frutto di un’operazione artificiosa e che risponde a logiche esclusivamente economiche. L’altro elemento sarebbe la tradizione, ma qui il discorso è ancora più complicato, perché, come si sa, la tradizione si può inventare, anzi, la tradizione è sempre il frutto di un’invenzione più o meno recente. Tolto, quindi, il territorio (che ha confini arbitrari) e tolta la tradizione (che è inventata), cosa rimane per definire un prodotto tipico? Territorio e tradizione sono elementi che identificano la produzione, in termini economici diremmo l’offerta. Invece il prodotto tipico dovrebbe essere riconosciuto attraverso coloro che lo consumano, cioè la domanda. Chi lo produce, come lo produce, con quali ingredienti, con quali tecnologie, ecc. ecc., dovrebbero essere elementi irrilevanti nel definire un prodotto tipico; quello che conta è chi lo consuma, con quale intensità e da quanto tempo. Allora, se i prodotti tipici si identificano per la platea dei consumatori e per la stabilità del prodotto stesso, la conclusione non può che essere una: i prodotti tipici possono comprendere anche quelli che normalmente consideriamo industriali. La Nutella, la Cedrata Tassoni, il Chinotto San Pellegrino, l’Amarena Fabbri, il Fernet Branca, il Martini, il Cornetto Algida, il Crodino, la Coppa del Nonno, i Baci Perugina, il Buondì Motta, il Cynar e mille altri prodotti industriali italiani, non hanno meno storia, meno radicamento nel mercato nazionale e meno tradizione tecnica del pomodoro di Pachino, del prosciutto San Daniele o del Dolcetto d’Alba. Anzi, ne hanno di più. Persino il totem della tipicità italiana, la pasta, è tipica proprio in quanto industriale; una delle marche più prestigiose, la De Cecco, infatti, recentemente ha dovuto chiarire una volta per tutte che la qualità dei suoi prodotti non dipende dalla provenienza italiana delle materie prime, ma dalla loro selezione e, soprattutto, dal processo produttivo standardizzato e controllato. Quando la pasta era solo artigianale e con materie prime a km 0, il 99,9% degli italiani non sapeva nemmeno cosa fosse. In estrema sintesi, attraverso alcuni esempi storici concreti, in questo paper intendo ribaltare completamente un paradigma storico consolidato, anzi, direi un paradigma culturale che sembrerebbe essere diventato ormai una verità indiscutibile che nessuno si sogna nemmeno più di mettere in dubbio. Potremmo sintetizzare così questa innegabile apparente verità: un prodotto alimentare industriale è per definizione meno radicato in un territorio, meno genuino e quindi meno buono di tutto ciò che non è industriale. Io credo che la storia dell’industria agroalimentare italiana dimostri come molto spesso valga l’esatto contrario.
2019
9788891789433
La tipicità è industriale. Il paradosso dell’agroalimentare italiano / Grandi, Alberto. - STAMPA. - (2019), pp. 20-34. (Intervento presentato al convegno Il settore agro-alimentare nella storia dell'economia europea tenutosi a Brescia nel 2018).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11381/2876880
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