Gli animali, ma potremmo estendere la considerazione a tutti i viventi, sono dotati della proprietà fondamentale di rispondere a stimoli di diversa natura provenienti dall’ambiente interno a essi o da quello esterno con impulsi elettrici singoli o ripetuti, risposte che stanno alla base delle loro principali funzioni. Che si tratti di un paramecio che, urtata una foglia, cambia direzione di nuoto, di un’alga filamentosa che, beccata da un’anatra, induce la gelificazione del citoplasma per evitarne la perdita, di motoneuroni che attivano i muscoli della palpebra e mi fanno «schiacciare l’occhio», o di una cellula del nervo uditivo, attivata da una cellula cigliata dell’orecchio interno, che vibra al suono del violino di mia figlia, in tutti i casi una forma di energia è trasdotta, a livello cellulare, in un evento elettrico transitorio. Per la verità esistono anche cellule che si sono specializzate a emettere impulsi elettrici ripetuti spontaneamente, anche se non stimolate, e a costituire quindi dei veri e propri orologi interni all’organismo, essendo la loro frequenza di emissione costante in condizioni fisiologiche. Sono le cosiddette cellule pacemaker che sganciano, per così dire, il tempo scandito per le loro funzioni, dagli orologi biologici che battono coi giorni, le stagioni, gli astri. Che alla base della attività motoria e nervosa animale vi fossero fenomeni elettrici era già noto agli studiosi della seconda metà del XVIII secolo. Fino ad allora, una prestigiosa scuola di fisiologi, primo fra tutti Albrecht Von Haller (1708-1777) dell’Università di Berna, insieme con Leopoldo Caldani (1725- 1813) dell’Università di Padova, riteneva che il meccanismo fosse riconducibile a una «irritabilità» latente nei tessuti animali, una sorta di energia potenziale che, in particolari condizioni, si liberava e generava movimento o impulsi nervosi [1]. In quel periodo cominciarono tuttavia a comparire, sui banconi di lavoro di anatomisti e fisiologi, curiosi apparecchi atti a generare carica elettrica e, letteralmente, a imbottigliarla in recipienti (le bottiglie di Leida) che la rendevano a lungo disponibile per la sperimentazione. Da qui in poi la scoperta, e, come vedremo, la riscoperta della attività elettrica animale nasceva e procedeva di pari passo con la scienza dell’elettrologia prima e, più tardi, dell’elettronica e dell’informatica. L’intreccio con la fisica e la tecnica dell’elettricità è quindi costitutivo dell’elettrofisiologia e tesse il filo conduttore di una storia scientifica, controversa al suo inizio, ma per certi versi unica ed affascinante. La rilettura di questa storia consente di far bene emergere il travaglio che accompagna il tentativo di utilizzare il metodo scientifico nella scienza della vita, intrinseca-mente complessa quest’ultima e meravigliosamente qualitativa. Come nel seguente brano, Loligo media di Jünger: «Mi comparve dinanzi trasformato in un piatto di anelli delicatamente rosolati nell’olio, presso i quali era posata la testa dalle dieci braccia simile alla chiusa fioritura di un giglio di mare o al frammento di una figuretta mitologica. Quel che subito avevo intuito si confermò: l’armonia segreta che si nasconde in tutte le qualità di un essere diveniva palese anche al senso del gusto, ed anche se avessi mangiato con gli occhi bendati mi sarebbe stato possibile collocare nel siste-ma zoologico, con sufficiente sicurezza, l’origine di quel boccone» (E. Jünger, Il cuore avventuroso).
IL METODO SCIENTIFICO NELLE SCIENZE DELLA NATURA, UN'APPLICAZIONE ALLA FISIOLOGIA: Scoperta e riscoperta della eccitabilità elettrica animale / Zaniboni, Massimiliano. - In: EMMECIQUADRO. - ISSN 2240-0389. - 55:(2014), pp. 1-9.
IL METODO SCIENTIFICO NELLE SCIENZE DELLA NATURA, UN'APPLICAZIONE ALLA FISIOLOGIA: Scoperta e riscoperta della eccitabilità elettrica animale.
ZANIBONI, Massimiliano
2014-01-01
Abstract
Gli animali, ma potremmo estendere la considerazione a tutti i viventi, sono dotati della proprietà fondamentale di rispondere a stimoli di diversa natura provenienti dall’ambiente interno a essi o da quello esterno con impulsi elettrici singoli o ripetuti, risposte che stanno alla base delle loro principali funzioni. Che si tratti di un paramecio che, urtata una foglia, cambia direzione di nuoto, di un’alga filamentosa che, beccata da un’anatra, induce la gelificazione del citoplasma per evitarne la perdita, di motoneuroni che attivano i muscoli della palpebra e mi fanno «schiacciare l’occhio», o di una cellula del nervo uditivo, attivata da una cellula cigliata dell’orecchio interno, che vibra al suono del violino di mia figlia, in tutti i casi una forma di energia è trasdotta, a livello cellulare, in un evento elettrico transitorio. Per la verità esistono anche cellule che si sono specializzate a emettere impulsi elettrici ripetuti spontaneamente, anche se non stimolate, e a costituire quindi dei veri e propri orologi interni all’organismo, essendo la loro frequenza di emissione costante in condizioni fisiologiche. Sono le cosiddette cellule pacemaker che sganciano, per così dire, il tempo scandito per le loro funzioni, dagli orologi biologici che battono coi giorni, le stagioni, gli astri. Che alla base della attività motoria e nervosa animale vi fossero fenomeni elettrici era già noto agli studiosi della seconda metà del XVIII secolo. Fino ad allora, una prestigiosa scuola di fisiologi, primo fra tutti Albrecht Von Haller (1708-1777) dell’Università di Berna, insieme con Leopoldo Caldani (1725- 1813) dell’Università di Padova, riteneva che il meccanismo fosse riconducibile a una «irritabilità» latente nei tessuti animali, una sorta di energia potenziale che, in particolari condizioni, si liberava e generava movimento o impulsi nervosi [1]. In quel periodo cominciarono tuttavia a comparire, sui banconi di lavoro di anatomisti e fisiologi, curiosi apparecchi atti a generare carica elettrica e, letteralmente, a imbottigliarla in recipienti (le bottiglie di Leida) che la rendevano a lungo disponibile per la sperimentazione. Da qui in poi la scoperta, e, come vedremo, la riscoperta della attività elettrica animale nasceva e procedeva di pari passo con la scienza dell’elettrologia prima e, più tardi, dell’elettronica e dell’informatica. L’intreccio con la fisica e la tecnica dell’elettricità è quindi costitutivo dell’elettrofisiologia e tesse il filo conduttore di una storia scientifica, controversa al suo inizio, ma per certi versi unica ed affascinante. La rilettura di questa storia consente di far bene emergere il travaglio che accompagna il tentativo di utilizzare il metodo scientifico nella scienza della vita, intrinseca-mente complessa quest’ultima e meravigliosamente qualitativa. Come nel seguente brano, Loligo media di Jünger: «Mi comparve dinanzi trasformato in un piatto di anelli delicatamente rosolati nell’olio, presso i quali era posata la testa dalle dieci braccia simile alla chiusa fioritura di un giglio di mare o al frammento di una figuretta mitologica. Quel che subito avevo intuito si confermò: l’armonia segreta che si nasconde in tutte le qualità di un essere diveniva palese anche al senso del gusto, ed anche se avessi mangiato con gli occhi bendati mi sarebbe stato possibile collocare nel siste-ma zoologico, con sufficiente sicurezza, l’origine di quel boccone» (E. Jünger, Il cuore avventuroso).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.