La corrente artistica della “Pittura metafisica” si caratterizza per il voler rappresentare ciò che è oltre l’apparenza fisica della realtà, al di là dell’esperienza sensoriale degli autori; il termine “metafisica” si riferisce soprattutto all’inconscio, al surreale e al sogno e come nel sogno i paesaggi raffigurati appaiono realistici ma assemblati in modo confuso. I caratteri fondamentali della pittura metafisica si esprimono attraverso un uso particolare della prospettiva che ha, di solito, molteplici punti di fuga tra loro incongruenti che costringono l’occhio a cercare l’ordine di disposizione delle figure e delle architetture che caratterizzano queste raffigurazioni. La prospettiva, infatti, di solito utilizzata per costruire uno spazio geometricamente plausibile, è ora volutamente deformata, così che lo spazio acquista un aspetto inedito. I quadri dei pittori metafisici come Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Carlo Carrà e Giorgio Morandi ritraggono luoghi misteriosi nei quali tutta l’attenzione va alla scena descritta, che è una scena senza tempo, spesso un luogo silenzioso e immobile, con elementi architettonici degli anni della prima guerra mondiale che si fondono con spazi delimitati da architetture immaginarie largamente ispirate alla classicità. Nelle tele di de Chirico, in particolare, ricorrono spesso spazi aperti simili a piazze e terrazze; particolarmente famose sono le cosiddette “piazze d’Italia” visioni di spazi aperti sull’orizzonte, delimitati da edifici ad arcate, torri e architetture più o meno note, con sculture antiche collocate in primo piano. Nella pittura metafisica tutto sembra congelarsi in un istante senza tempo, dove spazi e oggetti si pietrificano per sempre. Le scene urbane, protagoniste indiscusse di questi quadri, hanno un aspetto dilatato e immobile. In esse domina l’assenza di vita e si intuisce il silenzio più assoluto. Questi spazi vuoti, assoluti, erano anche quelli che si trovarono ad immaginare, a delimitare e a riempire gli architetti e gli ingegneri delle città e dei borghi di fondazione, in Italia e nelle terre d’oltremare, colonie italiane del periodo fascista. Al contrario di quel che avviene per molti autori ed architetti, per i quali è una realtà particolarmente suggestiva ad evocare immagini fantastiche e talvolta surreali, in questo caso sono state le scene create dai pittori di questa corrente artistica ad ispirare la realtà costruita. Gli architetti e ingegneri che negli anni Trenta furono chiamati a costruire edifici pubblici nell’Agro Pontino, ma anche in Sicilia, in Sardegna, in Puglia e furono inviati in Libia, Eritrea, Etiopia e nel Dodecanneso, trovandosi sempre o quasi di fronte a spazi vergini nei quali le loro costruzioni diventavano il segno primo della mano dell’uomo, si ispirarono alle immagini fantastiche rappresentate dai pittori metafisici perché la loro opera doveva essere al contempo classica, per la tradizione di cui era espressione, e razionale, come richiedevano quei tempi. Le città nuove nascevano già con destinazioni economiche precise, erano progettate a misura di chi le avrebbe abitate: contadini, militari, minatori. Furono tutte costruite in pochissimo tempo e in alcuni casi mai abitate per il sopraggiungere della guerra. Forse anche questo ha contribuito a renderle metafisiche: un destino improvvisamente interrotto.
Dal viaggio immaginario dei pittori metafisici alla realtà costruita delle città di fondazione degli anni Trenta / Vernizzi, Chiara. - STAMPA. - (2014), pp. 939-946. (Intervento presentato al convegno El Dibujo de viaje de Los Arcquitectos tenutosi a Las Palmas de Gran Canaria nel 22-23 maggio 2014).
Dal viaggio immaginario dei pittori metafisici alla realtà costruita delle città di fondazione degli anni Trenta.
VERNIZZI, Chiara
2014-01-01
Abstract
La corrente artistica della “Pittura metafisica” si caratterizza per il voler rappresentare ciò che è oltre l’apparenza fisica della realtà, al di là dell’esperienza sensoriale degli autori; il termine “metafisica” si riferisce soprattutto all’inconscio, al surreale e al sogno e come nel sogno i paesaggi raffigurati appaiono realistici ma assemblati in modo confuso. I caratteri fondamentali della pittura metafisica si esprimono attraverso un uso particolare della prospettiva che ha, di solito, molteplici punti di fuga tra loro incongruenti che costringono l’occhio a cercare l’ordine di disposizione delle figure e delle architetture che caratterizzano queste raffigurazioni. La prospettiva, infatti, di solito utilizzata per costruire uno spazio geometricamente plausibile, è ora volutamente deformata, così che lo spazio acquista un aspetto inedito. I quadri dei pittori metafisici come Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Carlo Carrà e Giorgio Morandi ritraggono luoghi misteriosi nei quali tutta l’attenzione va alla scena descritta, che è una scena senza tempo, spesso un luogo silenzioso e immobile, con elementi architettonici degli anni della prima guerra mondiale che si fondono con spazi delimitati da architetture immaginarie largamente ispirate alla classicità. Nelle tele di de Chirico, in particolare, ricorrono spesso spazi aperti simili a piazze e terrazze; particolarmente famose sono le cosiddette “piazze d’Italia” visioni di spazi aperti sull’orizzonte, delimitati da edifici ad arcate, torri e architetture più o meno note, con sculture antiche collocate in primo piano. Nella pittura metafisica tutto sembra congelarsi in un istante senza tempo, dove spazi e oggetti si pietrificano per sempre. Le scene urbane, protagoniste indiscusse di questi quadri, hanno un aspetto dilatato e immobile. In esse domina l’assenza di vita e si intuisce il silenzio più assoluto. Questi spazi vuoti, assoluti, erano anche quelli che si trovarono ad immaginare, a delimitare e a riempire gli architetti e gli ingegneri delle città e dei borghi di fondazione, in Italia e nelle terre d’oltremare, colonie italiane del periodo fascista. Al contrario di quel che avviene per molti autori ed architetti, per i quali è una realtà particolarmente suggestiva ad evocare immagini fantastiche e talvolta surreali, in questo caso sono state le scene create dai pittori di questa corrente artistica ad ispirare la realtà costruita. Gli architetti e ingegneri che negli anni Trenta furono chiamati a costruire edifici pubblici nell’Agro Pontino, ma anche in Sicilia, in Sardegna, in Puglia e furono inviati in Libia, Eritrea, Etiopia e nel Dodecanneso, trovandosi sempre o quasi di fronte a spazi vergini nei quali le loro costruzioni diventavano il segno primo della mano dell’uomo, si ispirarono alle immagini fantastiche rappresentate dai pittori metafisici perché la loro opera doveva essere al contempo classica, per la tradizione di cui era espressione, e razionale, come richiedevano quei tempi. Le città nuove nascevano già con destinazioni economiche precise, erano progettate a misura di chi le avrebbe abitate: contadini, militari, minatori. Furono tutte costruite in pochissimo tempo e in alcuni casi mai abitate per il sopraggiungere della guerra. Forse anche questo ha contribuito a renderle metafisiche: un destino improvvisamente interrotto.File | Dimensione | Formato | |
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