Questo articolo si propone di ricavare, per l’opera di Stevenson, una più che meritata nicchia fra quei lavori che fornirono le basi per lo sviluppo di quella che sarebbe poi stata definita, a tutti gli effetti, letteratura postcoloniale di lingua inglese. A tale scopo, si analizzerà brevemente il modo in cui le opere di narrativa dell’autore si inseriscono nella produzione letteraria inglese della seconda metà del diciannovesimo secolo, facendo brevemente riferimento agli aspetti più propriamente colonialisti dei suoi romanzi e ponendo in evidenza quegli elementi che invece avvicinano l’autore a posizioni che sembrano più tipiche della postcolonialità. Di conseguenza, oltre ad una succinta analisi dei contenuti, oggetto di indagine sono anche le strategie propriamente narrative e linguistiche adottate da Stevenson per dare voce ad alcune delle preoccupazioni principali dei suoi contemporanei, nel tentativo di comprendere gli scopi che l’autore si prefigge come scrittore, come uomo e come soggetto imperiale. In particolare, l’articolo si concentra sull’uso che Stevenson fa di lingue e dialetti diversi (un interesse per il linguaggio e i suoi potenziali dimostrato per esempio anche in *The Black Arrow* del 1888, scritto utilizzando deliberatamente un linguaggio datato e anacronistico), mettendo in relazione questo aspetto con i fenomeni di ‘code-mixing’e ‘code-switching’ tipici di opere propriamente ‘postcoloniali’.
Tipologia ministeriale: | Articolo su rivista |
Appare nelle tipologie: | 1.1 Articolo su rivista |