Le scene del teatro d’opera sono sempre state popolate da diavoli il cui aspetto fisico appartiene a due categorie ben distinte, ma con la caratteristica comune della bruttezza. Bruttezza fisica nel primo caso, poiche' si riferisce a esseri mostruosi con caratteristiche umane e animalesche allo stesso tempo, che appartengono alla tradizione iconografica in cui la cultura cristiana si sposa con le culture pagane (greco-romana e germanica soprattutto). Bruttezza soprattutto simbolica nel secondo caso, che prende corpo nella figura inquietante di un uomo straordinariamente magro, pallido e cupo, con occhi fiammeggianti e sbarrati, le dita lunghe e affilate: la figura che sino ai giorni nostri è classificata come spettrale e diabolica. Da questo modello nasce e si trasforma nel tempo l’immagine di Mefistofele che il teatro d’opera conosce: quella del diavolo con l’aspetto di uomo e vestito con abiti da cavaliere del XVI secolo. In questo modo, tuttavia, si compie il destino del diavolo nella sua forma terribile e minacciosa: alla fine del XIX secolo, infatti, il diavolo che vuole sopravvivere deve tagliare ogni legame con il fantastico e il soprannaturale e trasformarsi in un uomo vero: l’uomo insidioso e malefico, il traditore, l’ingannatore, il disonesto, il perfido, l’invidioso. Ma in questo modo, perde ogni caratteristica iconografica che possa svelare la sua vera natura, poiché l’uomo-diavolo, come il “demi-devil” Iago, agisce e si svela solo attraverso l’uso della parola.

Le rappresentazioni del diavolo / Capra, Marco. - STAMPA. - (2008), pp. 123-161. (Intervento presentato al convegno Il diavolo all'opera tenutosi a Parma nel 14-15 marzo 2007).

Le rappresentazioni del diavolo

CAPRA, Marco
2008-01-01

Abstract

Le scene del teatro d’opera sono sempre state popolate da diavoli il cui aspetto fisico appartiene a due categorie ben distinte, ma con la caratteristica comune della bruttezza. Bruttezza fisica nel primo caso, poiche' si riferisce a esseri mostruosi con caratteristiche umane e animalesche allo stesso tempo, che appartengono alla tradizione iconografica in cui la cultura cristiana si sposa con le culture pagane (greco-romana e germanica soprattutto). Bruttezza soprattutto simbolica nel secondo caso, che prende corpo nella figura inquietante di un uomo straordinariamente magro, pallido e cupo, con occhi fiammeggianti e sbarrati, le dita lunghe e affilate: la figura che sino ai giorni nostri è classificata come spettrale e diabolica. Da questo modello nasce e si trasforma nel tempo l’immagine di Mefistofele che il teatro d’opera conosce: quella del diavolo con l’aspetto di uomo e vestito con abiti da cavaliere del XVI secolo. In questo modo, tuttavia, si compie il destino del diavolo nella sua forma terribile e minacciosa: alla fine del XIX secolo, infatti, il diavolo che vuole sopravvivere deve tagliare ogni legame con il fantastico e il soprannaturale e trasformarsi in un uomo vero: l’uomo insidioso e malefico, il traditore, l’ingannatore, il disonesto, il perfido, l’invidioso. Ma in questo modo, perde ogni caratteristica iconografica che possa svelare la sua vera natura, poiché l’uomo-diavolo, come il “demi-devil” Iago, agisce e si svela solo attraverso l’uso della parola.
2008
978883179662
Le rappresentazioni del diavolo / Capra, Marco. - STAMPA. - (2008), pp. 123-161. (Intervento presentato al convegno Il diavolo all'opera tenutosi a Parma nel 14-15 marzo 2007).
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