Al centro del lavoro vi è l’analisi del ruolo che il cinema ebbe nelle attività tese a “plasmare le coscienze” delle giovani generazioni nell’Italia di Mussolini. Se l’ossessiva attenzione pedagogica del regime fascista costituisce una pista di ricerca certamente battuta, così come lo è l’intenso rapporto tra cinema e regime, specialmente in relazione alle attività dell’Istituto Luce, il lavoro di Stefano Campagna s’inserisce in questi filoni di studio con peculiari tratti di novità, muovendosi su percorsi accidentati e poco, se non per nulla, frequentati. Come rimarca l’Autore, infatti, una sistematica attenzione alle questioni al centro di questo volume è sorprendentemente restata «ai margini sia delle ricerche storico-cinematografiche che di quelle storico-educative, così come nei lavori degli storici del fascismo che si sono occupati dei mass media, della cultura di massa e dell’organizzazione della propaganda» (p. 14). D’altra parte, viene rilevato anche come la cinematografia scolastica, strettamente intesa – cioè come strutturale sussidio didattico in classe –, ancora nel 1941 agli occhi dello stesso ministero dell’Educazione nazionale apparisse «un faticoso, se pur modesto, capitolo della cinematografia generale [...] che ha incontrato, e incontra, difficoltà non indifferenti» (p. 95). E infatti, lo sguardo in queste pagine si allarga al variegato universo della fruizione cinematografica para ed extrascolastica da parte di bambine, bambini e adolescenti, così come ai modi dell’incontro – marcato da interessanti gradi di discrezionalità da parte della periferia, o meglio, delle periferie – tra le «politiche culturali varate dal centro con l’operato nei contesti locali di [...] presidi, insegnanti e istruttori dell’onb/gil» (p. 96). Una situazione, quest’ultima, che, annota Campagna, «non deve essere interpretata meccanicamente attraverso le categorie di consenso/dissenso o presupponendo forme di resistenza della periferia rispetto al centro, quanto piuttosto problematizzata nei termini di iniziative “dal basso” non necessariamente disallineate rispetto all’indirizzo generale della politica educativa» (p. 115). Infine, da rimarcare la scelta di avventurarsi con decisione anche nell’attraente e al tempo stesso insidioso territorio della ricezione, di ciò, insomma, che resta negli occhi, nei cuori e nelle menti dei giovani spettatori dopo queste “visioni” dalla forte carica coinvolgente: «quando facciamo le proiezioni io sono contenta perché si impara tanto e si vedono cose belle e importanti», scrive nel 1935 sul suo quaderno un’alunna della scuola elementare di Mariano Comense (p. 40). In questo percorso Campagna, per l’appunto, si è rivolto in particolare proprio ai quaderni scolastici, a quelle scritture bambine complesse, certamente condizionate dal loro essere controllate e disciplinate, in primis dall’azione degli insegnanti, in cui tuttavia gli elementi soggettivi sono tutt’altro che assenti. Si tratta di una preziosa documentazione con un peculiare valore aggiunto: rispetto alle pur importanti memorie, tradizionalmente più utilizzate, rappresenta infatti una traccia coeva dei pensieri e delle emozioni affidate alla penna... e alle matite, visti i tanti disegni. I quaderni, così, costituiscono anche la guida privilegiata per avventurarsi tra le immagini sullo schermo proposte alle scolaresche. Attraverso il costante confronto, infatti, con le tracce che hanno lasciato nei componimenti scolastici, Campagna ripercorre temi e modi con cui le proiezioni cinematografiche – film e documentari – agirono nel rendere visibile, specialmente agli occhi di balilla e piccole italiane, i capisaldi della pedagogia fascista, dalla celebrazione del duce, al mito della stirpe, del “sangue” e del “suolo”, al primato della razza – che trova nel cinema coloniale una peculiare occasione di elaborazione –, ma anche il culto del sacrificio, l’esaltazione dell’eroismo bellico, il dovere dell’obbedienza. Scorrono così, con la mediazione delle “appropriazioni bambine”, una pluralità di pellicole a cominciare dal kolossal, ampiamente proposto alle scolaresche, Scipione l’Africano (1937, regia di Carmine Gallone), a 1860 – il Risorgimento risulta il periodo storico più presente nelle proiezioni rivolte ai giovani – e Vecchia guardia, entrambe del 1934 e con la regia di Alessandro Blasetti, a Luciano Serra pilota (1938, di Goffredo Alessandrini), fino ai film del genere “liceale”, come Maddalena... zero in condotta (1940, di Vittorio De Sica), Ore 9: lezione di chimica (1941, di Mario Mattoli) e Teresa Venerdì (1941, di Vittorio De Sica), ai documentari didattici prodotti dall’Istituto Luce ecc. Il tutto con l’attenzione a seguire gli elementi divergenti, spesso collocati sulla linea di tensione strutturale che attraversa il regime attorno alla polarizzazione conservazione/modernizzazione, ordine/rivoluzione. Esemplare, in questo senso, il caso della crescente visibilità che, già sul finire degli anni Venti, acquista la dimensione femminile nelle proiezioni educative. Tra le principali produzioni didattiche dell’Istituto Luce, ad esempio, vi sono le pellicole incentrate sulle organizzazioni giovanili del regime, tese a rendere visibile ai piccoli spettatori, in funzione emulativa, il modello del “giovane fascista perfetto”. All’inizio tutto questo venne declinato esclusivamente al maschile, ma presto le spinte della società di massa e l’afflato totalitario del regime spinsero – seppure in forme estremamente ambigue, contradditorie e riconducendo comunque sempre il tutto nell’alveo della tradizione – a dare spazio anche a un protagonismo femminile. Un’espressione emblematica di queste compresenti e irrisolte tensioni è il documentario L’Accademia dei vent’anni (1941, regia di Giorgio Ferroni) sull’Accademia femminile della gil a Orvieto. Nelle immagini proposte alle scolaresche, le future insegnanti di educazione fisica – già di per sé soggetto lontano dal modello tradizionale e dalla realtà diffusa, nel loro essere a scuola, atlete, in pantaloncini corti o in costume – sono proposte mentre «sperimentano forme di socialità “moderne” come la gita in bicicletta con cui si apre il film» anche se, poi, «alla fine si dedicano soprattutto alla cura dei bambini, sognando, alla sera, un matrimonio felice col fidanzato» (p. 175). Addirittura, nel caso dei già ricordati film del genere “liceale”, «le protagoniste delle pellicole [...] superano momentaneamente steccati generazionali, di genere o di classe per poi [anche in questo caso] tornare sui loro passi e incasellarsi all’interno del ruolo prescritto dall’ideologia dominante» (p. 196). Osservando poi i suoi riflessi nei componimenti scolastici, la visione di questo protagonismo femminile, per quanto subordinato, mostra anche la capacità di alimentare immagini di un eroismo divergente rispetto al tradizionale modello virile. Marianna, per esempio, un’alunna di una quinta elementare di Firenze, dopo essere stata portata con la classe al cinema a vedere il film di Guido Brignone Teresa Confalonieri (1934), scrive sul suo quaderno: «e rimasi ammirata dalla serena prontezza con cui Teresa rispose che suo marito non era in casa, mentre con visibile trepidazione seguiva le mosse indagatrici degli odiati croati» (p. 198). La questione di genere, infine, permette di introdurre un altro aspetto su cui pone in modo ricorrente l’attenzione l’Autore: l’imponente presenza delle pellicole hollywoodiane nell’Italia fascista, anche in prospettiva di un loro utilizzo educativo. Innanzitutto, Campagna ci ricorda che, ancora nel 1938, quando, cioè, in conseguenza della svolta autarchica, le maggiori case di produzione americane si ritirarono dal mercato italiano, oltre il 60% della domanda di film da parte del pubblico era ancora soddisfatta da film hollywoodiani.

Plasmare le coscienze: cinema e infanzia nell’Italia fascista (1923-1943) / Campagna, Stefano. - (2024), pp. 1-216.

Plasmare le coscienze: cinema e infanzia nell’Italia fascista (1923-1943)

Stefano Campagna
2024-01-01

Abstract

Al centro del lavoro vi è l’analisi del ruolo che il cinema ebbe nelle attività tese a “plasmare le coscienze” delle giovani generazioni nell’Italia di Mussolini. Se l’ossessiva attenzione pedagogica del regime fascista costituisce una pista di ricerca certamente battuta, così come lo è l’intenso rapporto tra cinema e regime, specialmente in relazione alle attività dell’Istituto Luce, il lavoro di Stefano Campagna s’inserisce in questi filoni di studio con peculiari tratti di novità, muovendosi su percorsi accidentati e poco, se non per nulla, frequentati. Come rimarca l’Autore, infatti, una sistematica attenzione alle questioni al centro di questo volume è sorprendentemente restata «ai margini sia delle ricerche storico-cinematografiche che di quelle storico-educative, così come nei lavori degli storici del fascismo che si sono occupati dei mass media, della cultura di massa e dell’organizzazione della propaganda» (p. 14). D’altra parte, viene rilevato anche come la cinematografia scolastica, strettamente intesa – cioè come strutturale sussidio didattico in classe –, ancora nel 1941 agli occhi dello stesso ministero dell’Educazione nazionale apparisse «un faticoso, se pur modesto, capitolo della cinematografia generale [...] che ha incontrato, e incontra, difficoltà non indifferenti» (p. 95). E infatti, lo sguardo in queste pagine si allarga al variegato universo della fruizione cinematografica para ed extrascolastica da parte di bambine, bambini e adolescenti, così come ai modi dell’incontro – marcato da interessanti gradi di discrezionalità da parte della periferia, o meglio, delle periferie – tra le «politiche culturali varate dal centro con l’operato nei contesti locali di [...] presidi, insegnanti e istruttori dell’onb/gil» (p. 96). Una situazione, quest’ultima, che, annota Campagna, «non deve essere interpretata meccanicamente attraverso le categorie di consenso/dissenso o presupponendo forme di resistenza della periferia rispetto al centro, quanto piuttosto problematizzata nei termini di iniziative “dal basso” non necessariamente disallineate rispetto all’indirizzo generale della politica educativa» (p. 115). Infine, da rimarcare la scelta di avventurarsi con decisione anche nell’attraente e al tempo stesso insidioso territorio della ricezione, di ciò, insomma, che resta negli occhi, nei cuori e nelle menti dei giovani spettatori dopo queste “visioni” dalla forte carica coinvolgente: «quando facciamo le proiezioni io sono contenta perché si impara tanto e si vedono cose belle e importanti», scrive nel 1935 sul suo quaderno un’alunna della scuola elementare di Mariano Comense (p. 40). In questo percorso Campagna, per l’appunto, si è rivolto in particolare proprio ai quaderni scolastici, a quelle scritture bambine complesse, certamente condizionate dal loro essere controllate e disciplinate, in primis dall’azione degli insegnanti, in cui tuttavia gli elementi soggettivi sono tutt’altro che assenti. Si tratta di una preziosa documentazione con un peculiare valore aggiunto: rispetto alle pur importanti memorie, tradizionalmente più utilizzate, rappresenta infatti una traccia coeva dei pensieri e delle emozioni affidate alla penna... e alle matite, visti i tanti disegni. I quaderni, così, costituiscono anche la guida privilegiata per avventurarsi tra le immagini sullo schermo proposte alle scolaresche. Attraverso il costante confronto, infatti, con le tracce che hanno lasciato nei componimenti scolastici, Campagna ripercorre temi e modi con cui le proiezioni cinematografiche – film e documentari – agirono nel rendere visibile, specialmente agli occhi di balilla e piccole italiane, i capisaldi della pedagogia fascista, dalla celebrazione del duce, al mito della stirpe, del “sangue” e del “suolo”, al primato della razza – che trova nel cinema coloniale una peculiare occasione di elaborazione –, ma anche il culto del sacrificio, l’esaltazione dell’eroismo bellico, il dovere dell’obbedienza. Scorrono così, con la mediazione delle “appropriazioni bambine”, una pluralità di pellicole a cominciare dal kolossal, ampiamente proposto alle scolaresche, Scipione l’Africano (1937, regia di Carmine Gallone), a 1860 – il Risorgimento risulta il periodo storico più presente nelle proiezioni rivolte ai giovani – e Vecchia guardia, entrambe del 1934 e con la regia di Alessandro Blasetti, a Luciano Serra pilota (1938, di Goffredo Alessandrini), fino ai film del genere “liceale”, come Maddalena... zero in condotta (1940, di Vittorio De Sica), Ore 9: lezione di chimica (1941, di Mario Mattoli) e Teresa Venerdì (1941, di Vittorio De Sica), ai documentari didattici prodotti dall’Istituto Luce ecc. Il tutto con l’attenzione a seguire gli elementi divergenti, spesso collocati sulla linea di tensione strutturale che attraversa il regime attorno alla polarizzazione conservazione/modernizzazione, ordine/rivoluzione. Esemplare, in questo senso, il caso della crescente visibilità che, già sul finire degli anni Venti, acquista la dimensione femminile nelle proiezioni educative. Tra le principali produzioni didattiche dell’Istituto Luce, ad esempio, vi sono le pellicole incentrate sulle organizzazioni giovanili del regime, tese a rendere visibile ai piccoli spettatori, in funzione emulativa, il modello del “giovane fascista perfetto”. All’inizio tutto questo venne declinato esclusivamente al maschile, ma presto le spinte della società di massa e l’afflato totalitario del regime spinsero – seppure in forme estremamente ambigue, contradditorie e riconducendo comunque sempre il tutto nell’alveo della tradizione – a dare spazio anche a un protagonismo femminile. Un’espressione emblematica di queste compresenti e irrisolte tensioni è il documentario L’Accademia dei vent’anni (1941, regia di Giorgio Ferroni) sull’Accademia femminile della gil a Orvieto. Nelle immagini proposte alle scolaresche, le future insegnanti di educazione fisica – già di per sé soggetto lontano dal modello tradizionale e dalla realtà diffusa, nel loro essere a scuola, atlete, in pantaloncini corti o in costume – sono proposte mentre «sperimentano forme di socialità “moderne” come la gita in bicicletta con cui si apre il film» anche se, poi, «alla fine si dedicano soprattutto alla cura dei bambini, sognando, alla sera, un matrimonio felice col fidanzato» (p. 175). Addirittura, nel caso dei già ricordati film del genere “liceale”, «le protagoniste delle pellicole [...] superano momentaneamente steccati generazionali, di genere o di classe per poi [anche in questo caso] tornare sui loro passi e incasellarsi all’interno del ruolo prescritto dall’ideologia dominante» (p. 196). Osservando poi i suoi riflessi nei componimenti scolastici, la visione di questo protagonismo femminile, per quanto subordinato, mostra anche la capacità di alimentare immagini di un eroismo divergente rispetto al tradizionale modello virile. Marianna, per esempio, un’alunna di una quinta elementare di Firenze, dopo essere stata portata con la classe al cinema a vedere il film di Guido Brignone Teresa Confalonieri (1934), scrive sul suo quaderno: «e rimasi ammirata dalla serena prontezza con cui Teresa rispose che suo marito non era in casa, mentre con visibile trepidazione seguiva le mosse indagatrici degli odiati croati» (p. 198). La questione di genere, infine, permette di introdurre un altro aspetto su cui pone in modo ricorrente l’attenzione l’Autore: l’imponente presenza delle pellicole hollywoodiane nell’Italia fascista, anche in prospettiva di un loro utilizzo educativo. Innanzitutto, Campagna ci ricorda che, ancora nel 1938, quando, cioè, in conseguenza della svolta autarchica, le maggiori case di produzione americane si ritirarono dal mercato italiano, oltre il 60% della domanda di film da parte del pubblico era ancora soddisfatta da film hollywoodiani.
2024
978-88-290-2838-2
Plasmare le coscienze: cinema e infanzia nell’Italia fascista (1923-1943) / Campagna, Stefano. - (2024), pp. 1-216.
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