Il risanamento di siti contaminanti è divenuto una delle più importanti emergenze ambientali, sia in Italia che in Europa. Il documento preparatorio per una futura possibile Direttiva Europea sulla “Protezione del Suolo” (Proposta COM2006/232) stima che 3.5 milioni di siti potenzialmente contaminanti dovranno essere individuati e caratterizzati in Europa, con un costo di circa 240 milioni di € per almeno 25 anni. La Proposta stima che circa 500.000 siti contaminati dovranno poi essere effettivamente risanati. In Italia esistono già 57 siti contaminati di interesse nazionale (700.000 ha, più del 2% del territorio nazionale, Legge n.426/1998 e s.m.i), per i quali esiste un finanziamento pubblico di circa 750 milioni €, destinato principalmente alla messa in sicurezza di emergenza. Inoltre, si stima che circa 15.000 siti contaminati di interesse locale dovranno essere caratterizzati e forse bonificati, con un costo di circa 25-30 miliardi di € nei prossimi 15 anni. Il primo recettore della contaminazione del sito è solitamente l'acqua sotterranea al di sotto del sito stesso, da cui la contaminazione può facilmente migrare verso altri recettori, incluso l’uomo. L’acqua sotterranea è un recettore molto sensibile, essendo una risorsa importante e limitata, i cui usi reali e potenziali sono ostacolati persino da bassi livelli di contaminazione. Tra i contaminanti di un’acqua sotterranea, i composti clorurati sono certamente i più diffusi: l’Helmholtz Center for Environmental Research della Germania stima che i composti clorurati (principalmente tetracloroetilene e tricloroetilene, PCE e TCE) siano presenti in più del 50% dei casi. Essi sono anche pericolosi dal punto di vista ambientale ed igienico-sanitario, in quanto a) la maggior parte di essi sono altamente tossici e sospetti cancerogeni, b) sono in grado di formare fasi separate, spesso con densità maggiore dell’acqua (DNAPL) e quindi c) permangono a concentrazioni più alte e per un periodo più lungo rispetto ad altri contaminanti. Quando una falda acquifera è contaminata, l’Autorità Pubblica richiede di solito misure di messa in sicurezza d’emergenza, per evitare l’espansione della contaminazione verso recettori sensibili. Tali misure sono generalmente attuate attraverso barriere passive (diaframmi impermeabili con trincee di drenaggio) o dinamiche (barriere idrauliche), il che comporta l’attivazione di un sistema di depurazione “on site” dell’acqua estratta (“pump-and-treat”, P&T). Il grande sviluppo dei sistemi P&T è dovuto anche alla relativa facilità di gestione e alla consolidata esperienza acquisita negli anni. Tuttavia, il P&T presenta diversi svantaggi: a) esso non preserva l’acqua di falda come risorsa quantitativa potenzialmente disponibile per l’uomo poiché spesso non è possibile (per vari motivi) la re-introduzione dell’acquifero dell’acqua trattata; b) esso è associato solitamente con costi elevati (pompaggio, materiali e reattivi); c) tali costi sono particolarmente sfavorevoli quando il P&T deve rimanere in funzione per un lungo periodo, come quando la presenza dei contaminati in acqua è controllata dalla lenta cinetica di dissoluzione del DNAPL. D’altra parte, i processi oggi usati per il trattamento on site di acque sotterranee contaminate sono spesso un adattamento di processi già sviluppati per le acque di scarico industriali. Per i composti clorurati, è prevalente il trattamento con carbone attivo (diretto o previo stripping in corrente gassosa), caratterizzato da un costo di gestione molto alto e dalla necessità di un post trattamento termico per ottenere la reale distruzione del contaminate clorurato. Permane perciò l’interesse per processi P&T innovativi ed avanzati, che consentano la completa degradazione dei contaminanti (invece di un semplice trasferimento di fase) e siano efficienti, economici e robusti. In questo contesto, grande attenzione è stata anche rivolta al risanamento in situ, in cui il processo è condotto direttamente nell’acquifero, agendo sul pennacchio di contaminazione o sulla sorgente di contaminazione. La maggior parte della ricerca scientifica si è concentrata su processi quali le barriere permeabili reattive, i processi biologici di declorazione riduttiva o ossidativa, l'ossidazione chimica in situ. Questi trattamenti offrono potenziali vantaggi per costi di gestione più bassi, minore richiesta energetica, assenza di effluenti da trattare e scaricare, minor disturbo dell’uso del terreno. D’altra parte, i trattamenti in situ chimici o biologici possono causare una contaminazione secondaria (accumulo di intermedi e prodotti tossici) e presentare difficoltà nel raggiungere le concentrazioni limite. Inoltre, richiedono un’approfondita conoscenza delle condizioni ambientali mentre non sono disponibili metodologie e protocolli standardizzati di progettazione e controllo. Per questo motivo, le tecnologie in situ soffrono di una generale mancanza di consenso e la loro autorizzazione da parte della pubblica amministrazione è spesso problematica. E’ opinione degli autori di questo capitolo che le barriere culturali e amministrative siano ad oggi l’ostacolo più forte alla rapida diffusione dell’applicazione delle tecnologie in situ. In particolare in Italia, la messa in sicurezza d’emergenza di acque sotterranee contaminate attraverso barriere fisiche o idrauliche è stata ormai realizzata o in corso di realizzazione praticamente per tutti i siti più rilevanti: così è prevedibile che l’approccio P&T continuerà ad essere utilizzato per molti anni. Nel pianificare la ricerca scientifica sui processi di risanamento occorre quindi sviluppare una nuova strategia: 1. da una parte i processi avanzati di trattamento on site di acque contaminate devono essere sviluppati “ad hoc”, in modo da superare i problemi relativi agli alti costi di gestione dei processi a carbone attivo. Ciò può essere realizzato anche sviluppando le conoscenze di base che sono state ottenute sui processi in situ, nel tentativo di valutarne la trasferibilità verso applicazioni on site. 2. d’altra parte, i processi in situ rimangono un approccio valido, se questi sono considerati non un’alternativa ma un supporto al P&T: le tecnologie in situ possono essere utilizzate in prossimità della sorgente di contaminazione (DNAPL) per ridurre il carico di contaminazione destinato al trattamento on-site e per ridurre il tempo di attività P&T necessario a raggiungere un completo risanamento. Ulteriori ricerche su processi in situ dovranno quindi essere orientate prendendo in considerazione i vincoli su riportati, ovvero focalizzando l’attenzione sull’efficacia del processo ad alte concentrazioni (trattamento vicino alla sorgente) e/o sulla minimizzazione della contaminazione secondaria e sul monitoraggio accurato (per minimizzare gli ostacoli di tipo autorizzativo). Nel contesto di tale strategia, il progetto di ricerca qui descritto si è proposto di studiare e sviluppare una serie di processi in grado di rimuovere e degradare un’ampia gamma di composti clorurati, in una maniera più efficace e sostenibile (minore impatto, processi più robusti ed economici) rispetto ai sistemi P&T più tradizionali, contribuendo allo stesso tempo ad una riduzione delle barriere amministrative esistenti per i processi di risanamento in situ. Inoltre come base comune a tutti i processi studiati, la ricerca scientifica è progettata con un alto livello di innovazione, sia per ottenere conoscenze di base dei processi scelti che per utilizzare tali conoscenze per un loro appropriato sviluppo.
Processi innovativi per il risanamento sostenibile di acque sotterranee contaminate da composti clorurati / R., Verdini; F., Aulenta; M., Petrangeli Papini; M., Majone; I., Di Somma; D., Spasiano; R., Marotta; R., Andreozzi; Bertin, Lorenzo; Fava, Fabio; Frascari, Dario; Pinelli, Davide; Nocentini, Massimo; S., Milia; A., Carucci; R., Porcu; V., Tandoi; S., Rossetti. - STAMPA. - (2013), pp. 283-340.
Processi innovativi per il risanamento sostenibile di acque sotterranee contaminate da composti clorurati
BERTIN, LORENZO;
2013-01-01
Abstract
Il risanamento di siti contaminanti è divenuto una delle più importanti emergenze ambientali, sia in Italia che in Europa. Il documento preparatorio per una futura possibile Direttiva Europea sulla “Protezione del Suolo” (Proposta COM2006/232) stima che 3.5 milioni di siti potenzialmente contaminanti dovranno essere individuati e caratterizzati in Europa, con un costo di circa 240 milioni di € per almeno 25 anni. La Proposta stima che circa 500.000 siti contaminati dovranno poi essere effettivamente risanati. In Italia esistono già 57 siti contaminati di interesse nazionale (700.000 ha, più del 2% del territorio nazionale, Legge n.426/1998 e s.m.i), per i quali esiste un finanziamento pubblico di circa 750 milioni €, destinato principalmente alla messa in sicurezza di emergenza. Inoltre, si stima che circa 15.000 siti contaminati di interesse locale dovranno essere caratterizzati e forse bonificati, con un costo di circa 25-30 miliardi di € nei prossimi 15 anni. Il primo recettore della contaminazione del sito è solitamente l'acqua sotterranea al di sotto del sito stesso, da cui la contaminazione può facilmente migrare verso altri recettori, incluso l’uomo. L’acqua sotterranea è un recettore molto sensibile, essendo una risorsa importante e limitata, i cui usi reali e potenziali sono ostacolati persino da bassi livelli di contaminazione. Tra i contaminanti di un’acqua sotterranea, i composti clorurati sono certamente i più diffusi: l’Helmholtz Center for Environmental Research della Germania stima che i composti clorurati (principalmente tetracloroetilene e tricloroetilene, PCE e TCE) siano presenti in più del 50% dei casi. Essi sono anche pericolosi dal punto di vista ambientale ed igienico-sanitario, in quanto a) la maggior parte di essi sono altamente tossici e sospetti cancerogeni, b) sono in grado di formare fasi separate, spesso con densità maggiore dell’acqua (DNAPL) e quindi c) permangono a concentrazioni più alte e per un periodo più lungo rispetto ad altri contaminanti. Quando una falda acquifera è contaminata, l’Autorità Pubblica richiede di solito misure di messa in sicurezza d’emergenza, per evitare l’espansione della contaminazione verso recettori sensibili. Tali misure sono generalmente attuate attraverso barriere passive (diaframmi impermeabili con trincee di drenaggio) o dinamiche (barriere idrauliche), il che comporta l’attivazione di un sistema di depurazione “on site” dell’acqua estratta (“pump-and-treat”, P&T). Il grande sviluppo dei sistemi P&T è dovuto anche alla relativa facilità di gestione e alla consolidata esperienza acquisita negli anni. Tuttavia, il P&T presenta diversi svantaggi: a) esso non preserva l’acqua di falda come risorsa quantitativa potenzialmente disponibile per l’uomo poiché spesso non è possibile (per vari motivi) la re-introduzione dell’acquifero dell’acqua trattata; b) esso è associato solitamente con costi elevati (pompaggio, materiali e reattivi); c) tali costi sono particolarmente sfavorevoli quando il P&T deve rimanere in funzione per un lungo periodo, come quando la presenza dei contaminati in acqua è controllata dalla lenta cinetica di dissoluzione del DNAPL. D’altra parte, i processi oggi usati per il trattamento on site di acque sotterranee contaminate sono spesso un adattamento di processi già sviluppati per le acque di scarico industriali. Per i composti clorurati, è prevalente il trattamento con carbone attivo (diretto o previo stripping in corrente gassosa), caratterizzato da un costo di gestione molto alto e dalla necessità di un post trattamento termico per ottenere la reale distruzione del contaminate clorurato. Permane perciò l’interesse per processi P&T innovativi ed avanzati, che consentano la completa degradazione dei contaminanti (invece di un semplice trasferimento di fase) e siano efficienti, economici e robusti. In questo contesto, grande attenzione è stata anche rivolta al risanamento in situ, in cui il processo è condotto direttamente nell’acquifero, agendo sul pennacchio di contaminazione o sulla sorgente di contaminazione. La maggior parte della ricerca scientifica si è concentrata su processi quali le barriere permeabili reattive, i processi biologici di declorazione riduttiva o ossidativa, l'ossidazione chimica in situ. Questi trattamenti offrono potenziali vantaggi per costi di gestione più bassi, minore richiesta energetica, assenza di effluenti da trattare e scaricare, minor disturbo dell’uso del terreno. D’altra parte, i trattamenti in situ chimici o biologici possono causare una contaminazione secondaria (accumulo di intermedi e prodotti tossici) e presentare difficoltà nel raggiungere le concentrazioni limite. Inoltre, richiedono un’approfondita conoscenza delle condizioni ambientali mentre non sono disponibili metodologie e protocolli standardizzati di progettazione e controllo. Per questo motivo, le tecnologie in situ soffrono di una generale mancanza di consenso e la loro autorizzazione da parte della pubblica amministrazione è spesso problematica. E’ opinione degli autori di questo capitolo che le barriere culturali e amministrative siano ad oggi l’ostacolo più forte alla rapida diffusione dell’applicazione delle tecnologie in situ. In particolare in Italia, la messa in sicurezza d’emergenza di acque sotterranee contaminate attraverso barriere fisiche o idrauliche è stata ormai realizzata o in corso di realizzazione praticamente per tutti i siti più rilevanti: così è prevedibile che l’approccio P&T continuerà ad essere utilizzato per molti anni. Nel pianificare la ricerca scientifica sui processi di risanamento occorre quindi sviluppare una nuova strategia: 1. da una parte i processi avanzati di trattamento on site di acque contaminate devono essere sviluppati “ad hoc”, in modo da superare i problemi relativi agli alti costi di gestione dei processi a carbone attivo. Ciò può essere realizzato anche sviluppando le conoscenze di base che sono state ottenute sui processi in situ, nel tentativo di valutarne la trasferibilità verso applicazioni on site. 2. d’altra parte, i processi in situ rimangono un approccio valido, se questi sono considerati non un’alternativa ma un supporto al P&T: le tecnologie in situ possono essere utilizzate in prossimità della sorgente di contaminazione (DNAPL) per ridurre il carico di contaminazione destinato al trattamento on-site e per ridurre il tempo di attività P&T necessario a raggiungere un completo risanamento. Ulteriori ricerche su processi in situ dovranno quindi essere orientate prendendo in considerazione i vincoli su riportati, ovvero focalizzando l’attenzione sull’efficacia del processo ad alte concentrazioni (trattamento vicino alla sorgente) e/o sulla minimizzazione della contaminazione secondaria e sul monitoraggio accurato (per minimizzare gli ostacoli di tipo autorizzativo). Nel contesto di tale strategia, il progetto di ricerca qui descritto si è proposto di studiare e sviluppare una serie di processi in grado di rimuovere e degradare un’ampia gamma di composti clorurati, in una maniera più efficace e sostenibile (minore impatto, processi più robusti ed economici) rispetto ai sistemi P&T più tradizionali, contribuendo allo stesso tempo ad una riduzione delle barriere amministrative esistenti per i processi di risanamento in situ. Inoltre come base comune a tutti i processi studiati, la ricerca scientifica è progettata con un alto livello di innovazione, sia per ottenere conoscenze di base dei processi scelti che per utilizzare tali conoscenze per un loro appropriato sviluppo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.