Per la prima volta un'imbarcazione di scienziati sociali ha percorso le rotte migratorie del Mediterraneo centrale, facendo tappa nei principali snodi del controllo confinario europeo: Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Malta. Un inedito diario di bordo che ci offre uno sguardo radicalmente nuovo sulla violenza necropolitica dei confini e sull'irriducibile spinta alla mobilità. Gommoni, sbarchi, motovedette, ONG, scafisti… la spettacolarizzazione dei confini che da anni viviamo nel nostro quotidiano racconta solo una parte della storia. Le prevalenti narrazioni politico-mediatiche rappresentano il Mediterraneo come una barriera «naturale» che divide aree geograficamente e socialmente distanti. Al contrario, il Mediterraneo è – storicamente – uno spazio di incontro e contaminazione, come testimonia questo lavoro «sul campo» condotto a bordo della Tanimar da un gruppo di scienziati sociali che ha dato voce e legittimità a tutti coloro che lo attraversano: migranti, pescatori, marinai, guardacoste, isolani, funzionari delle agenzie europee. Una ricerca che applicando i criteri di una sociologia intesa come pratica pubblica propone di ripensare la «frontiera d'acqua» del Mediterraneo. Affinché non sia più un confine arbitrariamente tracciato sulla mappa, ma torni a essere uno spazio comune abitato da una pluralità di attori sociali che non solo lo rimettono costantemente in discussione, ma già oggi vanno prefigurando futuri post-nazionali in grado di oltrepassare il controllo statale della mobilità.
Lotte per la memoria. Narrare la morte nel Mediterraneo / Pellegrino, Vincenza. - (2023), pp. 51-66.
Lotte per la memoria. Narrare la morte nel Mediterraneo
Vincenza Pellegrino
2023-01-01
Abstract
Per la prima volta un'imbarcazione di scienziati sociali ha percorso le rotte migratorie del Mediterraneo centrale, facendo tappa nei principali snodi del controllo confinario europeo: Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Malta. Un inedito diario di bordo che ci offre uno sguardo radicalmente nuovo sulla violenza necropolitica dei confini e sull'irriducibile spinta alla mobilità. Gommoni, sbarchi, motovedette, ONG, scafisti… la spettacolarizzazione dei confini che da anni viviamo nel nostro quotidiano racconta solo una parte della storia. Le prevalenti narrazioni politico-mediatiche rappresentano il Mediterraneo come una barriera «naturale» che divide aree geograficamente e socialmente distanti. Al contrario, il Mediterraneo è – storicamente – uno spazio di incontro e contaminazione, come testimonia questo lavoro «sul campo» condotto a bordo della Tanimar da un gruppo di scienziati sociali che ha dato voce e legittimità a tutti coloro che lo attraversano: migranti, pescatori, marinai, guardacoste, isolani, funzionari delle agenzie europee. Una ricerca che applicando i criteri di una sociologia intesa come pratica pubblica propone di ripensare la «frontiera d'acqua» del Mediterraneo. Affinché non sia più un confine arbitrariamente tracciato sulla mappa, ma torni a essere uno spazio comune abitato da una pluralità di attori sociali che non solo lo rimettono costantemente in discussione, ma già oggi vanno prefigurando futuri post-nazionali in grado di oltrepassare il controllo statale della mobilità.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.