Questo volume arriva dopo tanti che si sono occupati di Santa Maria del Fiore e ci si potrebbe chiedere con James, se ci sia ancora qualcosa da dire sull’argomento. Henry James inizia il suo scritto su Venezia – alla quale da subito dichiara il suo amore, dedicandole almeno un terzo delle sue “ore italiane” – dicendo: «Si prova un grande piacere nello scrivere questa parola [si legga Venezia, nel suo caso, che può essere facilmente sostituito con Santa Maria del Fiore, nel nostro], ma non sono certo che non vi sia dell’impudenza nella pretesa di aggiungervi qualcos’altro [poiché] è stata descritta e dipinta migliaia di volte [ed] è la più facile da visitare senza bisogno di andarvi» . Per la cupola del Brunelleschi è senz’altro lo stesso: forse come nessun’altra, è talmente nota all’immaginario collettivo da non necessitare (per confermarne il profilo) nemmeno di una visita reale, che anzi potrebbe comportare il rischio – come accade con le icone – di turbarne la perfezione. Così è stato per secoli, in effetti, nei confronti di questa cupola che ha da sempre rappresentato qualcosa di più di sè stessa, fino a raggiungere la dimensione di simbolo, diventando il modello ideale sul quale plasmare teorie costruttive o architettoniche, delle quali rappresenta senz’altro un preciso momento evolutivo . Come succede coi simboli, molte sono le storie che si sono raccontate, nel tempo, sulla sua perfezione geometrica e sulla sapienza costruttiva di chi l’ha concepita, ed è curioso osservare come la cupola più nota sia stata, paradossalmente, per molto tempo, la meno conosciuta
Qualcosa da dire (ancora) sulla cupola di Santa Maria del Fiore / Ottoni, F.. - STAMPA. - 7:(2023), pp. 9-13.
Qualcosa da dire (ancora) sulla cupola di Santa Maria del Fiore
F. Ottoni
Conceptualization
2023-01-01
Abstract
Questo volume arriva dopo tanti che si sono occupati di Santa Maria del Fiore e ci si potrebbe chiedere con James, se ci sia ancora qualcosa da dire sull’argomento. Henry James inizia il suo scritto su Venezia – alla quale da subito dichiara il suo amore, dedicandole almeno un terzo delle sue “ore italiane” – dicendo: «Si prova un grande piacere nello scrivere questa parola [si legga Venezia, nel suo caso, che può essere facilmente sostituito con Santa Maria del Fiore, nel nostro], ma non sono certo che non vi sia dell’impudenza nella pretesa di aggiungervi qualcos’altro [poiché] è stata descritta e dipinta migliaia di volte [ed] è la più facile da visitare senza bisogno di andarvi» . Per la cupola del Brunelleschi è senz’altro lo stesso: forse come nessun’altra, è talmente nota all’immaginario collettivo da non necessitare (per confermarne il profilo) nemmeno di una visita reale, che anzi potrebbe comportare il rischio – come accade con le icone – di turbarne la perfezione. Così è stato per secoli, in effetti, nei confronti di questa cupola che ha da sempre rappresentato qualcosa di più di sè stessa, fino a raggiungere la dimensione di simbolo, diventando il modello ideale sul quale plasmare teorie costruttive o architettoniche, delle quali rappresenta senz’altro un preciso momento evolutivo . Come succede coi simboli, molte sono le storie che si sono raccontate, nel tempo, sulla sua perfezione geometrica e sulla sapienza costruttiva di chi l’ha concepita, ed è curioso osservare come la cupola più nota sia stata, paradossalmente, per molto tempo, la meno conosciutaI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.