Tutto è nato con il pomodoro. Una coltivazione che nessuno reputava possibile piantare con successo al Nord, tanto meno nel clima brumoso della Bassa parmense. I pionieri Carlo Rognoni e Antonio Bizzozero, l’agronomo che guidò per molti anni la cattedra ambulante di agricoltura, ne dimostrarono invece la fattibilità dopo lunghe sperimentazioni. La grande crisi agraria e il declino della redditività dei cereali concorsero al successo del nuovo prodotto. Le istituzioni, come il Comizio e il Consorzio agrario, finanziate dalla Cassa di Risparmio, lo promossero efficacemente. Rognoni con altri, già nel 1874, fondò a Felino la Società anonima di coltivatori per la produzione delle conserve di pomodoro. Dopo fu il boom. Alla vigilia della Grande Guerra la provincia di Parma valeva già il 73% della produzione dell’ Emilia-Romagna e un quarto di quella nazionale. Nel 1911 il censimento industriale attestava la presenza di trentacinque stabilimenti per la trasformazione della materia prima rispetto a cinque nel 1895. Gli opifici crebbero ancora fino al 1912, mentre il prodotto fresco aumentò nel biennio precedente del 140%. Erano quasi tutte piccole aziende stagionali, che diversificavano l’attività. Solo sette erano società per azioni. Contemporaneamente le imprese più grandi, stimolate dalla saturazione del mercato interno, promossero le esportazioni verso i paesi in cui erano più numerose le comunità italiane: Stati Uniti, Gran Bretagna, Argentina, Francia e Belgio. L’incremento dei consumi urbani (fra il 1881 e il 1911 la popolazione della città crebbe del 22%) e le vendite all’estero stimolarono lo sviluppo dell’industria meccanica per la produzione dei macchinari destinati al settore alimentare e del packaging (scatole di latta e imballaggi), generando un indotto. La Grande Guerra e le commesse militari ne rafforzarono la crescita, determinando anche un sensibile aumento della concentrazione proprietaria e delle dimensioni delle manifatture. Negli anni Venti il comparto conserviero si irrobustì. Il regime fascista promosse la Stazione sperimentale per l’industria delle conserve per incrementare e migliorare la qualità del prodotto e del packaging; nonché l’Istituto confederale per l’industria delle conserve alimentari, al quale dovevano obbligatoriamente aderire tutti produttori, per pianificare e regolare dall’alto il settore. Le esportazioni crebbero ulteriormente, rappresentando circa il 70% della produzione complessiva di concentrato e pelati. Alla fine del decennio l’agricoltura, le imprese alimentari e quelle meccaniche erano ormai fortemente interrelate e caratterizzavano la vocazione economica del territorio. La depressione innescata dal crollo della borsa di New York ebbe un impatto devastante. Nell’annata agraria 1929/30 la produzione del pomodoro quasi si dimezzò. Solo la guerra d’Etiopia e le esportazioni verso l’impero in Africa determinarono la ripresa economica. Contemporaneamente tornarono a crescere i consumi urbani, ove, le imprese più grandi, per conquistare i consumatori del ceto medio, avviarono politiche di marketing caratterizzate da una spiccata attenzione all’estetica e alla qualità delle confezioni, inducendo l’innovazione dell’industria del packaging. L’autarchia stimolò l’avvento dell’alluminio come materiale per la confezione dei prodotti conservieri e migliorò le tecniche di fabbricazione della banda stagnata. Nel 1939 fu creato l’istituto autonomo Mostra delle conserve alimentari, che nel 1941 promosse la Mostra autarchica scatole e imballaggi per conserve alimentari, e nel 1942 organizzò la Mostra nazionale delle conserve alimentari (oggi Cibus). La fine del decennio determinò un sensibile incremento della concentrazione dimensionale e progressive innovazioni di prodotto e di processo, che avrebbero agevolato la rivoluzione degli anni Cinquanta. Nel dopoguerra la particolare struttura industriale di Parma, composta prevalentemente da imprese agro-alimentari, facilitò la rapida riconversione alle produzioni civili. Così, già nel 1950, l’economia ripartì di slancio. Fra il 1956 e il 1963 l’Italia registrò uno sviluppo industriale straordinario. Si verificò un aumento eccezionale dei consumi pubblici e privati, del reddito e, seppur in misura meno pronunciata, anche dei salari. La nascita del Mercato Comune Europeo stimolò una forte crescita delle esportazioni. La ricchezza del paese crebbe come mai in precedenza, diminuendo il gap con gli stati dell’Europa settentrionale. L’emigrazione dal Sud al Nord e dalle campagne alle città moltiplicò la domanda di beni alimentari, raffinando i gusti e le attitudini dei consumatori. Tra il 1955 e il 1970 si registrarono oltre venticinque milioni di cambi di residenza da un comune all’altro. Il boom e l’americanizzazione dei consumi e dei comportamenti sradicarono le tradizioni e generarono l’avvento della moderna società di massa, che portò alla ribalta quello che Herbert Marcuse coniò come <>. La Rossi e Catelli fu fondata nel 1945 per produrre le attrezzature meccaniche destinate all’industria del pomodoro. Tre fattori caratterizzarono l’impresa nella prima parte della sua storia. Una costante attenzione alle innovazioni di prodotto e di processo, coerente con l’evoluzione qualitativa dei consumatori e delle imprese trasformatrici; la diversificazione nell’ambito del food; la vocazione internazionale. Due eventi cruciali che ne attestarono la dinamicità e che contribuirono a fissarne le traiettorie future furono il successo sui mercati esteri dei propri evaporatori, suggellato dal contratto con la multinazionale H. J. Heinz Company, e la collaborazione con la Parmalat che permise di sperimentare con successo la tecnologia che consentì la fabbricazione del latte UHT a lunga conservazione, mantenendo quasi inalterati i valori nutritivi del latte fresco, e rivoluzionando su scala mondiale il settore lattiero-caseario. Negli anni del boom la tecnologia e la pubblicità, rivoluzionata dall’avvento della televisione, trasformarono il design del packaging da mero oggetto, semplice contenitore della merce, a un vero e proprio medium abile a connotare esteticamente un determinato prodotto di marca e a suscitare emozioni nel consumatore. I nuovi sistemi di confezione dei prodotti alimentari coadiuvarono il consolidamento della grande distribuzione organizzata: il primo negozio fu aperto a Milano nel 1957 dalla società Supermarkets italiani, creata dal finanziere americano Nelson Rockefeller con l’apporto di alcuni soci italiani. La GDO fu fondamentale nell’accrescere i volumi di vendita dei prodotti alimentari e a rivoluzionare le modalità d’acquisto degli italiani. Così l’industria agro-alimentare e quella meccanica a essa collegata registrarono una trasformazione: le imprese più piccole e marginali, caratterizzate da una bassa produttività e da un’ampia diversificazione, soccombettero, favorendo la crescita dimensionale e la specializzazione. Aumentò l’interrelazione tra aziende, generando la nascita di filiere di fabbricazione dei prodotti, realizzando quelle<> che caratterizzano i distretti, anche se il settore meccanico crebbe meno rispetto ad altre province dell’Emilia-Romagna come Modena e Reggio Emilia. All’inizio del XXI secolo a Parma l’alimentare e i comparti a esso legati come quelli dei macchinari e del packaging sono ancora preponderanti (il rapporto tra alimentare e meccanica è 1:1, mentre è 1:6 a Modena e 1:9 a Reggio Emilia). Agroalimentare e impiantistica fatturano il 50% circa nel complesso del sistema manifatturiero della provincia, pur a fronte di una sensibile contrazione del numero degli addetti e delle imprese. La strategia concepita dalla CFT per reagire alle sfide imposte dalla globalizzazione è stata quella della crescita dimensionale mediante l’acquisizione di altre imprese storiche del settore come Manzini e Comaco. Oggi la meccanica evolve verso la meccatronica, grazie all’influenza dell’informatica e dell’elettronica. Questa tendenza, però, assieme all’internazionalizzazione delle filiere, modifica sensibilmente il modello di sviluppo tradizionale, perché all’interno del singolo distretto industriale non è più possibile realizzare tutte le competenze indispensabili per competere sul mercato. Le dimensioni stesse del distretto sono significativamente ampliate almeno a livello regionale. Oggi Parma appartiene a quello della meccatronica emiliana. In un cerchio di poche decine di chilometri si concentrano i sistemi manifatturieri del parmense, di Reggio Emilia e Modena. In quest’area si concentrano quasi dodicimila aziende della meccanica avanzata che rappresentano circa il 47% del comparto metalmeccanico dell’Emilia-Romagna. Al suo interno sono presenti industrie specializzate e sono intensi i rapporti di subfornitura, due fattori importanti per elevare le opportunità imprenditoriali e accrescere i processi di innovazione che elevano la competitività globale. Così, nel corso degli ultimi due decenni, nelle linee produttive si sono moltiplicati i componenti elettronici, le macchine a controllo numerico, la robotizzazione e gli impianti di automazione, accrescendo quella flessibilità che crea una rete di imprese produttrici sia di beni intermedi sia finali. Il radicamento territoriale è quindi importante perché l’industria agroalimentare di Parma costituisce un polo di eccellenza che stimola la ricerca e lo sviluppo di innovazioni di prodotto e di processo anche nella meccatronica. La storia dell’alimentazione è in perenne mutamento perché è influenzata dai cambiamenti dei gusti, delle mode e delle diete dei consumatori. La strategia è quella di salvaguardare le tradizioni e le identità locali (la qualità della materia prima e l’eccellenza delle lavorazioni), ma, nello stesso tempo, utilizzare le tecnologie all’avanguardia per conseguire con successo i propri obiettivi di crescita. Roland Robertson ha interpretato questa convergenza di <> come simultanea <>, introducendo il concetto di <>, per evidenziare come influenze globali agiscano anche in ambito locale e si avvalgano sempre di <> . I mezzi di comunicazione di massa, internet, il turismo intercontinentale e i beni di consumo apprezzati ovunque rappresentano i più importanti fattori della <>. Il radicamento territoriale e l’innovazione nel rispetto della tradizione sono dunque aspetti importanti, ma non sufficienti. Una indagine sulla meccatronica nella provincia di Reggio Emilia , che vale certamente anche per quella di Parma, offre una serie di utili indicazioni sulle azioni che hanno consentito alle imprese di affrontare con successo le sfide della prima fase della globalizzazione dal crollo del blocco sovietico fino alla crisi finanziaria del 2007. Le condizioni fondamentali sono state: capacità di innovare; evoluzione continua secondo i ritmi dei mercati; accrescere la ricerca all’interno dell’impresa; migliorare la competitività accrescendo l’integrazione interna delle fasi produttive; porsi come fornitori totali per clienti globali; affinare la ricerca di partners e fornitori esterni; capacità, comunque, di conseguire la massima flessibilità per reagire simultaneamente agli impulsi e alle modificazioni del mercato mondiale. Oggi lo scenario si apre a nuove ipotesi. Come sottolinea Franco Mosconi, la crisi determinata dal covid-19 potrebbe imporre un rallentamento e una contrazione delle filiere internazionali di produzione e stimolare il commercio internazionale per singole aree. Se questo sarà vero, la meccatronica emiliana, seppur non esente da rischi, visto il volume delle importazioni dalla Cina, presenta, però, rispetto ad altre aree, una filiera produttiva <>, che potrebbe porla in condizioni di vantaggio . Fondamentale sarà certamente l’integrazione della ricerca fra i laboratori delle manifatture e quelli delle università del territorio.
La CFT nel grande distretto della meccatronica italiana / Podesta', Gian Luca. - (2022), pp. 43-55.
La CFT nel grande distretto della meccatronica italiana
Gian Luca Podestà
2022-01-01
Abstract
Tutto è nato con il pomodoro. Una coltivazione che nessuno reputava possibile piantare con successo al Nord, tanto meno nel clima brumoso della Bassa parmense. I pionieri Carlo Rognoni e Antonio Bizzozero, l’agronomo che guidò per molti anni la cattedra ambulante di agricoltura, ne dimostrarono invece la fattibilità dopo lunghe sperimentazioni. La grande crisi agraria e il declino della redditività dei cereali concorsero al successo del nuovo prodotto. Le istituzioni, come il Comizio e il Consorzio agrario, finanziate dalla Cassa di Risparmio, lo promossero efficacemente. Rognoni con altri, già nel 1874, fondò a Felino la Società anonima di coltivatori per la produzione delle conserve di pomodoro. Dopo fu il boom. Alla vigilia della Grande Guerra la provincia di Parma valeva già il 73% della produzione dell’ Emilia-Romagna e un quarto di quella nazionale. Nel 1911 il censimento industriale attestava la presenza di trentacinque stabilimenti per la trasformazione della materia prima rispetto a cinque nel 1895. Gli opifici crebbero ancora fino al 1912, mentre il prodotto fresco aumentò nel biennio precedente del 140%. Erano quasi tutte piccole aziende stagionali, che diversificavano l’attività. Solo sette erano società per azioni. Contemporaneamente le imprese più grandi, stimolate dalla saturazione del mercato interno, promossero le esportazioni verso i paesi in cui erano più numerose le comunità italiane: Stati Uniti, Gran Bretagna, Argentina, Francia e Belgio. L’incremento dei consumi urbani (fra il 1881 e il 1911 la popolazione della città crebbe del 22%) e le vendite all’estero stimolarono lo sviluppo dell’industria meccanica per la produzione dei macchinari destinati al settore alimentare e del packaging (scatole di latta e imballaggi), generando un indotto. La Grande Guerra e le commesse militari ne rafforzarono la crescita, determinando anche un sensibile aumento della concentrazione proprietaria e delle dimensioni delle manifatture. Negli anni Venti il comparto conserviero si irrobustì. Il regime fascista promosse la Stazione sperimentale per l’industria delle conserve per incrementare e migliorare la qualità del prodotto e del packaging; nonché l’Istituto confederale per l’industria delle conserve alimentari, al quale dovevano obbligatoriamente aderire tutti produttori, per pianificare e regolare dall’alto il settore. Le esportazioni crebbero ulteriormente, rappresentando circa il 70% della produzione complessiva di concentrato e pelati. Alla fine del decennio l’agricoltura, le imprese alimentari e quelle meccaniche erano ormai fortemente interrelate e caratterizzavano la vocazione economica del territorio. La depressione innescata dal crollo della borsa di New York ebbe un impatto devastante. Nell’annata agraria 1929/30 la produzione del pomodoro quasi si dimezzò. Solo la guerra d’Etiopia e le esportazioni verso l’impero in Africa determinarono la ripresa economica. Contemporaneamente tornarono a crescere i consumi urbani, ove, le imprese più grandi, per conquistare i consumatori del ceto medio, avviarono politiche di marketing caratterizzate da una spiccata attenzione all’estetica e alla qualità delle confezioni, inducendo l’innovazione dell’industria del packaging. L’autarchia stimolò l’avvento dell’alluminio come materiale per la confezione dei prodotti conservieri e migliorò le tecniche di fabbricazione della banda stagnata. Nel 1939 fu creato l’istituto autonomo Mostra delle conserve alimentari, che nel 1941 promosse la Mostra autarchica scatole e imballaggi per conserve alimentari, e nel 1942 organizzò la Mostra nazionale delle conserve alimentari (oggi Cibus). La fine del decennio determinò un sensibile incremento della concentrazione dimensionale e progressive innovazioni di prodotto e di processo, che avrebbero agevolato la rivoluzione degli anni Cinquanta. Nel dopoguerra la particolare struttura industriale di Parma, composta prevalentemente da imprese agro-alimentari, facilitò la rapida riconversione alle produzioni civili. Così, già nel 1950, l’economia ripartì di slancio. Fra il 1956 e il 1963 l’Italia registrò uno sviluppo industriale straordinario. Si verificò un aumento eccezionale dei consumi pubblici e privati, del reddito e, seppur in misura meno pronunciata, anche dei salari. La nascita del Mercato Comune Europeo stimolò una forte crescita delle esportazioni. La ricchezza del paese crebbe come mai in precedenza, diminuendo il gap con gli stati dell’Europa settentrionale. L’emigrazione dal Sud al Nord e dalle campagne alle città moltiplicò la domanda di beni alimentari, raffinando i gusti e le attitudini dei consumatori. Tra il 1955 e il 1970 si registrarono oltre venticinque milioni di cambi di residenza da un comune all’altro. Il boom e l’americanizzazione dei consumi e dei comportamenti sradicarono le tradizioni e generarono l’avvento della moderna società di massa, che portò alla ribalta quello che Herbert Marcuse coniò come <>. La Rossi e Catelli fu fondata nel 1945 per produrre le attrezzature meccaniche destinate all’industria del pomodoro. Tre fattori caratterizzarono l’impresa nella prima parte della sua storia. Una costante attenzione alle innovazioni di prodotto e di processo, coerente con l’evoluzione qualitativa dei consumatori e delle imprese trasformatrici; la diversificazione nell’ambito del food; la vocazione internazionale. Due eventi cruciali che ne attestarono la dinamicità e che contribuirono a fissarne le traiettorie future furono il successo sui mercati esteri dei propri evaporatori, suggellato dal contratto con la multinazionale H. J. Heinz Company, e la collaborazione con la Parmalat che permise di sperimentare con successo la tecnologia che consentì la fabbricazione del latte UHT a lunga conservazione, mantenendo quasi inalterati i valori nutritivi del latte fresco, e rivoluzionando su scala mondiale il settore lattiero-caseario. Negli anni del boom la tecnologia e la pubblicità, rivoluzionata dall’avvento della televisione, trasformarono il design del packaging da mero oggetto, semplice contenitore della merce, a un vero e proprio medium abile a connotare esteticamente un determinato prodotto di marca e a suscitare emozioni nel consumatore. I nuovi sistemi di confezione dei prodotti alimentari coadiuvarono il consolidamento della grande distribuzione organizzata: il primo negozio fu aperto a Milano nel 1957 dalla società Supermarkets italiani, creata dal finanziere americano Nelson Rockefeller con l’apporto di alcuni soci italiani. La GDO fu fondamentale nell’accrescere i volumi di vendita dei prodotti alimentari e a rivoluzionare le modalità d’acquisto degli italiani. Così l’industria agro-alimentare e quella meccanica a essa collegata registrarono una trasformazione: le imprese più piccole e marginali, caratterizzate da una bassa produttività e da un’ampia diversificazione, soccombettero, favorendo la crescita dimensionale e la specializzazione. Aumentò l’interrelazione tra aziende, generando la nascita di filiere di fabbricazione dei prodotti, realizzando quelle<> che caratterizzano i distretti, anche se il settore meccanico crebbe meno rispetto ad altre province dell’Emilia-Romagna come Modena e Reggio Emilia. All’inizio del XXI secolo a Parma l’alimentare e i comparti a esso legati come quelli dei macchinari e del packaging sono ancora preponderanti (il rapporto tra alimentare e meccanica è 1:1, mentre è 1:6 a Modena e 1:9 a Reggio Emilia). Agroalimentare e impiantistica fatturano il 50% circa nel complesso del sistema manifatturiero della provincia, pur a fronte di una sensibile contrazione del numero degli addetti e delle imprese. La strategia concepita dalla CFT per reagire alle sfide imposte dalla globalizzazione è stata quella della crescita dimensionale mediante l’acquisizione di altre imprese storiche del settore come Manzini e Comaco. Oggi la meccanica evolve verso la meccatronica, grazie all’influenza dell’informatica e dell’elettronica. Questa tendenza, però, assieme all’internazionalizzazione delle filiere, modifica sensibilmente il modello di sviluppo tradizionale, perché all’interno del singolo distretto industriale non è più possibile realizzare tutte le competenze indispensabili per competere sul mercato. Le dimensioni stesse del distretto sono significativamente ampliate almeno a livello regionale. Oggi Parma appartiene a quello della meccatronica emiliana. In un cerchio di poche decine di chilometri si concentrano i sistemi manifatturieri del parmense, di Reggio Emilia e Modena. In quest’area si concentrano quasi dodicimila aziende della meccanica avanzata che rappresentano circa il 47% del comparto metalmeccanico dell’Emilia-Romagna. Al suo interno sono presenti industrie specializzate e sono intensi i rapporti di subfornitura, due fattori importanti per elevare le opportunità imprenditoriali e accrescere i processi di innovazione che elevano la competitività globale. Così, nel corso degli ultimi due decenni, nelle linee produttive si sono moltiplicati i componenti elettronici, le macchine a controllo numerico, la robotizzazione e gli impianti di automazione, accrescendo quella flessibilità che crea una rete di imprese produttrici sia di beni intermedi sia finali. Il radicamento territoriale è quindi importante perché l’industria agroalimentare di Parma costituisce un polo di eccellenza che stimola la ricerca e lo sviluppo di innovazioni di prodotto e di processo anche nella meccatronica. La storia dell’alimentazione è in perenne mutamento perché è influenzata dai cambiamenti dei gusti, delle mode e delle diete dei consumatori. La strategia è quella di salvaguardare le tradizioni e le identità locali (la qualità della materia prima e l’eccellenza delle lavorazioni), ma, nello stesso tempo, utilizzare le tecnologie all’avanguardia per conseguire con successo i propri obiettivi di crescita. Roland Robertson ha interpretato questa convergenza di <> come simultanea <>, introducendo il concetto di <>, per evidenziare come influenze globali agiscano anche in ambito locale e si avvalgano sempre di <> . I mezzi di comunicazione di massa, internet, il turismo intercontinentale e i beni di consumo apprezzati ovunque rappresentano i più importanti fattori della <>. Il radicamento territoriale e l’innovazione nel rispetto della tradizione sono dunque aspetti importanti, ma non sufficienti. Una indagine sulla meccatronica nella provincia di Reggio Emilia , che vale certamente anche per quella di Parma, offre una serie di utili indicazioni sulle azioni che hanno consentito alle imprese di affrontare con successo le sfide della prima fase della globalizzazione dal crollo del blocco sovietico fino alla crisi finanziaria del 2007. Le condizioni fondamentali sono state: capacità di innovare; evoluzione continua secondo i ritmi dei mercati; accrescere la ricerca all’interno dell’impresa; migliorare la competitività accrescendo l’integrazione interna delle fasi produttive; porsi come fornitori totali per clienti globali; affinare la ricerca di partners e fornitori esterni; capacità, comunque, di conseguire la massima flessibilità per reagire simultaneamente agli impulsi e alle modificazioni del mercato mondiale. Oggi lo scenario si apre a nuove ipotesi. Come sottolinea Franco Mosconi, la crisi determinata dal covid-19 potrebbe imporre un rallentamento e una contrazione delle filiere internazionali di produzione e stimolare il commercio internazionale per singole aree. Se questo sarà vero, la meccatronica emiliana, seppur non esente da rischi, visto il volume delle importazioni dalla Cina, presenta, però, rispetto ad altre aree, una filiera produttiva <>, che potrebbe porla in condizioni di vantaggio . Fondamentale sarà certamente l’integrazione della ricerca fra i laboratori delle manifatture e quelli delle università del territorio.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.