Vincenzo Tecchio Vincenzo Tecchio nacque a Napoli il 26 aprile 1895, da Vincenzo e Teresa Braca, in una famiglia artigiana specializzata nella produzione di letti in ferro battuto. Fu volontario in fanteria nella Grande Guerra, ottenne una medaglia al valore e fu congedato come tenente. Si laureò in giurisprudenza ed esercitò come avvocato nel foro di Napoli. Squadrista della prima ora, iscritto al Partito nazionale fascista dal 1 dicembre 1920, fu seguace di Aurelio Padovani, il carismatico sindacalista fondatore del fascio di Napoli e componente autorevole dell'ala radicale del movimento. Padovani fu espulso nel 1923 e Tecchio inizialmente lo seguì con altri dissidenti, costituendo un gruppo alternativo in città e nella provincia. Egli rientrò rapidamente nei ranghi da solo, appoggiandosi a Roberto Farinacci a livello nazionale, e divenne segretario cittadino nel 1925. Dopo che Mussolini procedette alla normalizzazione del fascismo, sostituendo Augusto Turati a Farinacci alla guida del partito, e Padovani, che vi era stato riammesso, ne uscì definitivamente, avendo rifiutato di accettare la nuova linea del capo del governo, anche Tecchio visse un periodo di eclisse dalla politica attiva e fu costretto a dimettersi dal ruolo di federale. Fu un allontanamento di breve durata, perché ritornò in breve tempo a essere uno dei gerarchi più influenti del fascismo napoletano, e, anzi, fu tra coloro che avversarono un ritorno nel partito di Padovani, con cui i rapporti si erano irrimediabilmente guastati a seguito del suo presunto tradimento. Fu consigliere d'amministrazione del Mezzogiorno e del Roma, i due giornali condotti da Giovanni Preziosi, che appoggiarono Farinacci e gli oltranzisti durante la crisi seguita al rapimento e all'omicidio di Giacomo Matteotti. Dopo la marginalizzazione del gerarca cremonese, il primo fu soppresso per volontà di Mussolini, che manovrò l'estromissione del direttore anche dal secondo. La morte di Padovani in un tragico incidente eliminò quello che ormai era divenuto un potenziale avversario, anche se Tecchio ne fu l'erede politico, o almeno ne incarnò gli ideali massimalisti. Per volontà di Mussolini non fu mai più federale di Napoli, che gli preferì figure moderate come Nicola Sansanelli, con cui condivise il potere nel partito locale, come esponente assieme a Preziosi della corrente più radicale. Già nel 1929 fu eletto deputato al Parlamento, in cui mantenne il seggio ininterrottamente fino al 1943 anche nella nuova Camera dei fasci e delle corporazioni. In tale ambito esercitò il ruolo di segretario della Commissione per l'esame dei bilanci e dei rendiconti consuntivi dal 1934 al 1939. Fu altresì componente del direttivo provinciale e del direttorio nazionale del Sindacato degli avvocati, e, in tale veste, fu ricevuto dal duce a Palazzo Venezia. Nel 1935 partecipò come volontario alla guerra d'Africa. Iscritto alla Camera di commercio di Napoli come rappresentante di un magazzino di letti, acquisì rapidamente una riconosciuta competenza in materia economica. Nel 1937 divenne vicepresidente del nuovo Consiglio provinciale dell'economia corporativa, di cui ebbe in pratica la guida effettiva, avendone ottenuto i poteri dal prefetto che ne era il presidente di diritto. Come tale fu un protagonista dello sviluppo della città. Il suo dinamismo e le sue competenze furono apprezzate da Mussolini che ne favorì l'ascesa a ruoli di vertice. Entrò nel consiglio di amministrazione dell'Alfa Romeo e divenne presidente e amministratore di Navalmeccanica, società del gruppo IRI, costituita nel 1939, integrando altre aziende, tra cui i cantieri di Castellamare di Stabia, cui il regime affidò la costruzione di navi da guerra. La sua nomina in un'impresa strategica fu condivisa dai vertici dell'Istituto per la Ricostruzione Industriale. Tecchio fu cooptato anche nel consiglio di amministrazione dell'università. Nel 1937 il duce lo nominò commissario governativo della Mostra triennale delle terre italiane d'oltremare, che avrebbe dovuto essere inaugurata il 9 maggio 1940, nel quarto anniversario della proclamazione dell'impero. La scelta di Napoli fu determinata dalla volontà del regime di fare della città il porto dell'Eurafrica italiana. Come l'EUR a Roma l'esposizione avrebbe dovuto rappresentare idealmente la nuova civiltà italiana e fascista nelle colonie. Essa costituì anche un importante progetto architettonico per la ristrutturazione di una cruciale area urbana nella zona flegrea tra Bagnoli e Fuorigrotta, non lontano dai siti archeologici di Cuma e dell'Averno, che avrebbe dovuto promuovere lo sviluppo turistico e commerciale della città nel futuro, ma che comportò anche l'abbattimento di un rione popolare e il trasferimento forzato dei suoi abitanti. Il progetto complessivo fu delegato all'architetto Marcello Canino. Vi parteciparono anche altri celebri professionisti, tra cui Carlo Cocchia e Luigi Piccinato, che disegnarono la grande fontana dell'Esedra. I lavori furono piuttosto celeri. Fu inaugurata nella data prevista alla presenza di Vittorio Emanuele III, ma chiuse solo un mese dopo a causa dell'entrata in guerra dell'Italia. Nel corso del conflitto fu gravemente danneggiata dai bombardamenti alleati e fu ricostruita a partire dal 1952 come Mostra d'oltremare e del lavoro italiano nel mondo. Dopo la promulgazione delle leggi razziali, come componente del direttorio nazionale del Sindacato degli avvocati, Tecchio partecipò all'epurazione dei professionisti ebrei. Nel 1941 rivestì l'uniforme e partecipò ai combattimenti sul fronte greco-albanese, ottenendo due decorazioni al valore. Durante il conflitto partecipò alla costituzione del Centro studi per lo sviluppo del Mezzogiorno, di cui fu il primo presidente. Inoltre consolidò la sua partecipazione all'economia cittadina, entrando nel consiglio di amministrazione e nella giunta esecutiva del porto di Napoli. Nella primavera 1943, nel pieno della crisi del regime determinata dalle sconfitte belliche, divenne uno degli ispettori del partito fascista che avrebbero dovuto consolidarne la coesione e rilanciarne il ruolo di perno del sistema totalitario. Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana. Il 7 febbraio 1944 Tecchio divenne commissario straordinario dell'IRI al posto di Alberto Asquini, che si era dimesso non condividendo la politica economica del governo repubblicano. Egli avrebbe dovuto accelerare la socializzazione delle imprese pubbliche, cooperando con Angelo Tarchi, ministro della Produzione industriale, alla costituzione dell'Istituto di gestione e finanziamento (IGEFI), il nuovo ente a cui sarebbe stata delegata la gestione delle industrie statali, di cui Tecchio divenne vicepresidente. In realtà egli fu prudente nell'applicazione della legge, salvaguardando i dirigenti che non erano iscritti al partito e proteggendoli dalle intromissioni dei fascisti più radicali. In quei mesi il suo principale obiettivo fu quello di rallentare le requisizioni e le distruzioni degli impianti da parte delle truppe tedesche, coadiuvando l'opera del direttore generale Giovanni Malvezzi, di cui pure conosceva la fede antifascista (Roma, Archivio Centrale dello Stato, PCM, Carte Barracu, RSI, 1943-1945, Fascicolo Malvezzi dr. Giovanni Direttore generale IRI. Note sul Dott. Giovanni Malvezzi), volta ad asportare i macchinari dagli stabilimenti e a nasconderli, al fine di consentire agli stabilimenti di riprendere l'attività dopo la fine della guerra, occultando anche riserve di denaro e materie prime. Egli frenò la socializzazione, pur ritenendola giusta in linea di principio, ma, in una lettera a Domenico Pellegrini Giampietro, ministro delle Finanze, ne rilevò gli aspetti demagogici e propagandistici, che avrebbero gettato le imprese nell'anarchia e ne avrebbero menomato la capacità produttiva (Roma, Archivio Centrale dello Stato, ASIRI, Serie nera, b. 101, Tecchio a Pellegrini Giampietro, 22 novembre 1944)., Nell'estate 1944, d'accordo con Pellegrini Giampietro e Tarchi, Tecchio costituì un comitato per la produzione post-bellica al fine di programmare la riconversione dalle fabbricazioni belliche a quelle civili, composto dai principali dirigenti delle aziende statali, che si sarebbe radunato clandestinamente più volte prima della fine del conflitto (Roma, Archivio Centrale dello Stato, ASIRI, Serie nera, b. 95, Comitato per la produzione post-bellica. Seduta del 1 luglio 1944). In una delle riunioni Tecchio dichiarò che l'obiettivo prioritario sarebbe stato quello di salvaguardare l'occupazione, e, ritenendo ineluttabile la sconfitta tedesca, sarebbe stato necessario anche allacciare relazioni con gli americani per integrare l'industria italiana nel sistema economico internazionale (Roma, Archivio Centrale dello Stato, ASIRI, Serie nera, b. 95, Comitato per la produzione post-bellica. Seduta del 30 ottobre 1944 in Genova). L'azione svolta da Tecchio per salvaguardare gli impianti dell'IRI dalle requisizioni e dalle distruzioni operate dalle truppe germaniche gli fu riconosciuta dal tribunale per l'epurazione e costituì un'attenuante che gli consentì di rientrare rapidamente nella vita civile. Così, alla fine del 1946, partecipò alla costituzione del Movimento sociale italiano, facendo parte dapprima di un "senato" informale che si riuniva a Roma composto da esponenti del fascismo repubblicano scampati alla cattura, latitanti o amnistiati, tra cui due dei suoi avversari all'epoca della socializzazione come Pino Romualdi e Giuseppe Spinelli, che lo avevano accusato di boicottare la legge (Roma, Archivio Centrale dello Stato, SPD, CR, RSI, b. 15, f. 70, Appunto per il Duce, 22 marzo 1945, e Archivio Centrale dello Stato, ASIRI, Serie nera, b. 101, Spinelli a Tecchio, 3 aprile 1945), e più tardi di una speciale commissione politica, concepita per elaborare il progetto politico e l'organizzazione del nuovo partito. Amico personale di Renato Angiolillo, proprietario e direttore de Il Tempo, allora il quotidiano più diffuso nella capitale, fu cooptato per collaborare con la sua società editoriale. Fu presidente della giunta nazionale quotidiani di capoluogo di regione e vicepresidente della Federazione italiana editori giornali. Egli fece parte anche dei consigli di amministrazione delle società Telestampa, Rhodiatoce e dell'Istituto romano beni stabili. Vincenzo Tecchio morì a Napoli il 9 settembre 1953. L'amministrazione comunale, presieduta da Achille

Vincenzo Tecchio / Podesta', Gian Luca. - 95:(2022), pp. 448-451.

Vincenzo Tecchio

Gian Luca Podestà
2022-01-01

Abstract

Vincenzo Tecchio Vincenzo Tecchio nacque a Napoli il 26 aprile 1895, da Vincenzo e Teresa Braca, in una famiglia artigiana specializzata nella produzione di letti in ferro battuto. Fu volontario in fanteria nella Grande Guerra, ottenne una medaglia al valore e fu congedato come tenente. Si laureò in giurisprudenza ed esercitò come avvocato nel foro di Napoli. Squadrista della prima ora, iscritto al Partito nazionale fascista dal 1 dicembre 1920, fu seguace di Aurelio Padovani, il carismatico sindacalista fondatore del fascio di Napoli e componente autorevole dell'ala radicale del movimento. Padovani fu espulso nel 1923 e Tecchio inizialmente lo seguì con altri dissidenti, costituendo un gruppo alternativo in città e nella provincia. Egli rientrò rapidamente nei ranghi da solo, appoggiandosi a Roberto Farinacci a livello nazionale, e divenne segretario cittadino nel 1925. Dopo che Mussolini procedette alla normalizzazione del fascismo, sostituendo Augusto Turati a Farinacci alla guida del partito, e Padovani, che vi era stato riammesso, ne uscì definitivamente, avendo rifiutato di accettare la nuova linea del capo del governo, anche Tecchio visse un periodo di eclisse dalla politica attiva e fu costretto a dimettersi dal ruolo di federale. Fu un allontanamento di breve durata, perché ritornò in breve tempo a essere uno dei gerarchi più influenti del fascismo napoletano, e, anzi, fu tra coloro che avversarono un ritorno nel partito di Padovani, con cui i rapporti si erano irrimediabilmente guastati a seguito del suo presunto tradimento. Fu consigliere d'amministrazione del Mezzogiorno e del Roma, i due giornali condotti da Giovanni Preziosi, che appoggiarono Farinacci e gli oltranzisti durante la crisi seguita al rapimento e all'omicidio di Giacomo Matteotti. Dopo la marginalizzazione del gerarca cremonese, il primo fu soppresso per volontà di Mussolini, che manovrò l'estromissione del direttore anche dal secondo. La morte di Padovani in un tragico incidente eliminò quello che ormai era divenuto un potenziale avversario, anche se Tecchio ne fu l'erede politico, o almeno ne incarnò gli ideali massimalisti. Per volontà di Mussolini non fu mai più federale di Napoli, che gli preferì figure moderate come Nicola Sansanelli, con cui condivise il potere nel partito locale, come esponente assieme a Preziosi della corrente più radicale. Già nel 1929 fu eletto deputato al Parlamento, in cui mantenne il seggio ininterrottamente fino al 1943 anche nella nuova Camera dei fasci e delle corporazioni. In tale ambito esercitò il ruolo di segretario della Commissione per l'esame dei bilanci e dei rendiconti consuntivi dal 1934 al 1939. Fu altresì componente del direttivo provinciale e del direttorio nazionale del Sindacato degli avvocati, e, in tale veste, fu ricevuto dal duce a Palazzo Venezia. Nel 1935 partecipò come volontario alla guerra d'Africa. Iscritto alla Camera di commercio di Napoli come rappresentante di un magazzino di letti, acquisì rapidamente una riconosciuta competenza in materia economica. Nel 1937 divenne vicepresidente del nuovo Consiglio provinciale dell'economia corporativa, di cui ebbe in pratica la guida effettiva, avendone ottenuto i poteri dal prefetto che ne era il presidente di diritto. Come tale fu un protagonista dello sviluppo della città. Il suo dinamismo e le sue competenze furono apprezzate da Mussolini che ne favorì l'ascesa a ruoli di vertice. Entrò nel consiglio di amministrazione dell'Alfa Romeo e divenne presidente e amministratore di Navalmeccanica, società del gruppo IRI, costituita nel 1939, integrando altre aziende, tra cui i cantieri di Castellamare di Stabia, cui il regime affidò la costruzione di navi da guerra. La sua nomina in un'impresa strategica fu condivisa dai vertici dell'Istituto per la Ricostruzione Industriale. Tecchio fu cooptato anche nel consiglio di amministrazione dell'università. Nel 1937 il duce lo nominò commissario governativo della Mostra triennale delle terre italiane d'oltremare, che avrebbe dovuto essere inaugurata il 9 maggio 1940, nel quarto anniversario della proclamazione dell'impero. La scelta di Napoli fu determinata dalla volontà del regime di fare della città il porto dell'Eurafrica italiana. Come l'EUR a Roma l'esposizione avrebbe dovuto rappresentare idealmente la nuova civiltà italiana e fascista nelle colonie. Essa costituì anche un importante progetto architettonico per la ristrutturazione di una cruciale area urbana nella zona flegrea tra Bagnoli e Fuorigrotta, non lontano dai siti archeologici di Cuma e dell'Averno, che avrebbe dovuto promuovere lo sviluppo turistico e commerciale della città nel futuro, ma che comportò anche l'abbattimento di un rione popolare e il trasferimento forzato dei suoi abitanti. Il progetto complessivo fu delegato all'architetto Marcello Canino. Vi parteciparono anche altri celebri professionisti, tra cui Carlo Cocchia e Luigi Piccinato, che disegnarono la grande fontana dell'Esedra. I lavori furono piuttosto celeri. Fu inaugurata nella data prevista alla presenza di Vittorio Emanuele III, ma chiuse solo un mese dopo a causa dell'entrata in guerra dell'Italia. Nel corso del conflitto fu gravemente danneggiata dai bombardamenti alleati e fu ricostruita a partire dal 1952 come Mostra d'oltremare e del lavoro italiano nel mondo. Dopo la promulgazione delle leggi razziali, come componente del direttorio nazionale del Sindacato degli avvocati, Tecchio partecipò all'epurazione dei professionisti ebrei. Nel 1941 rivestì l'uniforme e partecipò ai combattimenti sul fronte greco-albanese, ottenendo due decorazioni al valore. Durante il conflitto partecipò alla costituzione del Centro studi per lo sviluppo del Mezzogiorno, di cui fu il primo presidente. Inoltre consolidò la sua partecipazione all'economia cittadina, entrando nel consiglio di amministrazione e nella giunta esecutiva del porto di Napoli. Nella primavera 1943, nel pieno della crisi del regime determinata dalle sconfitte belliche, divenne uno degli ispettori del partito fascista che avrebbero dovuto consolidarne la coesione e rilanciarne il ruolo di perno del sistema totalitario. Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana. Il 7 febbraio 1944 Tecchio divenne commissario straordinario dell'IRI al posto di Alberto Asquini, che si era dimesso non condividendo la politica economica del governo repubblicano. Egli avrebbe dovuto accelerare la socializzazione delle imprese pubbliche, cooperando con Angelo Tarchi, ministro della Produzione industriale, alla costituzione dell'Istituto di gestione e finanziamento (IGEFI), il nuovo ente a cui sarebbe stata delegata la gestione delle industrie statali, di cui Tecchio divenne vicepresidente. In realtà egli fu prudente nell'applicazione della legge, salvaguardando i dirigenti che non erano iscritti al partito e proteggendoli dalle intromissioni dei fascisti più radicali. In quei mesi il suo principale obiettivo fu quello di rallentare le requisizioni e le distruzioni degli impianti da parte delle truppe tedesche, coadiuvando l'opera del direttore generale Giovanni Malvezzi, di cui pure conosceva la fede antifascista (Roma, Archivio Centrale dello Stato, PCM, Carte Barracu, RSI, 1943-1945, Fascicolo Malvezzi dr. Giovanni Direttore generale IRI. Note sul Dott. Giovanni Malvezzi), volta ad asportare i macchinari dagli stabilimenti e a nasconderli, al fine di consentire agli stabilimenti di riprendere l'attività dopo la fine della guerra, occultando anche riserve di denaro e materie prime. Egli frenò la socializzazione, pur ritenendola giusta in linea di principio, ma, in una lettera a Domenico Pellegrini Giampietro, ministro delle Finanze, ne rilevò gli aspetti demagogici e propagandistici, che avrebbero gettato le imprese nell'anarchia e ne avrebbero menomato la capacità produttiva (Roma, Archivio Centrale dello Stato, ASIRI, Serie nera, b. 101, Tecchio a Pellegrini Giampietro, 22 novembre 1944)., Nell'estate 1944, d'accordo con Pellegrini Giampietro e Tarchi, Tecchio costituì un comitato per la produzione post-bellica al fine di programmare la riconversione dalle fabbricazioni belliche a quelle civili, composto dai principali dirigenti delle aziende statali, che si sarebbe radunato clandestinamente più volte prima della fine del conflitto (Roma, Archivio Centrale dello Stato, ASIRI, Serie nera, b. 95, Comitato per la produzione post-bellica. Seduta del 1 luglio 1944). In una delle riunioni Tecchio dichiarò che l'obiettivo prioritario sarebbe stato quello di salvaguardare l'occupazione, e, ritenendo ineluttabile la sconfitta tedesca, sarebbe stato necessario anche allacciare relazioni con gli americani per integrare l'industria italiana nel sistema economico internazionale (Roma, Archivio Centrale dello Stato, ASIRI, Serie nera, b. 95, Comitato per la produzione post-bellica. Seduta del 30 ottobre 1944 in Genova). L'azione svolta da Tecchio per salvaguardare gli impianti dell'IRI dalle requisizioni e dalle distruzioni operate dalle truppe germaniche gli fu riconosciuta dal tribunale per l'epurazione e costituì un'attenuante che gli consentì di rientrare rapidamente nella vita civile. Così, alla fine del 1946, partecipò alla costituzione del Movimento sociale italiano, facendo parte dapprima di un "senato" informale che si riuniva a Roma composto da esponenti del fascismo repubblicano scampati alla cattura, latitanti o amnistiati, tra cui due dei suoi avversari all'epoca della socializzazione come Pino Romualdi e Giuseppe Spinelli, che lo avevano accusato di boicottare la legge (Roma, Archivio Centrale dello Stato, SPD, CR, RSI, b. 15, f. 70, Appunto per il Duce, 22 marzo 1945, e Archivio Centrale dello Stato, ASIRI, Serie nera, b. 101, Spinelli a Tecchio, 3 aprile 1945), e più tardi di una speciale commissione politica, concepita per elaborare il progetto politico e l'organizzazione del nuovo partito. Amico personale di Renato Angiolillo, proprietario e direttore de Il Tempo, allora il quotidiano più diffuso nella capitale, fu cooptato per collaborare con la sua società editoriale. Fu presidente della giunta nazionale quotidiani di capoluogo di regione e vicepresidente della Federazione italiana editori giornali. Egli fece parte anche dei consigli di amministrazione delle società Telestampa, Rhodiatoce e dell'Istituto romano beni stabili. Vincenzo Tecchio morì a Napoli il 9 settembre 1953. L'amministrazione comunale, presieduta da Achille
2022
9788812000326
Vincenzo Tecchio / Podesta', Gian Luca. - 95:(2022), pp. 448-451.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11381/2954132
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