Nelle pagine di "Erba sul sagrato" (1939), Ada Negri sembra intrecciare con il paesaggio lombardo e italiano un rapporto complesso, fitto di accensioni coloristiche e di rapimenti estatici, modulato su tonalità elegiache che la scrittrice governa con morbido estro felice, trasformando minuti frammenti diaristici (visioni scorciate di monumenti e luoghi) in apparizioni tramate di sorvegliato pathos epifanico. Davanti al rosso mattone della pavese San Teodoro («brace stanca di ardere»), ovvero di fronte alla «radiosa brutalità» della marina ligure, l’attitudine paesaggistica della Negri cerca nell’austera immanenza dei segni architettonici – e nella cangiante mutevolezza degli spettacoli naturali – il segno di una misteriosa profondità e durata. Il saggio ripercorre l'ultima stagione della scrittrice lodigiana – il suo ventennale e tormentato attraversamento dell'entre-deux-guerres italiano – indagando la trama di un dialogo sotterraneo con esperienze della stagione modernista (il primo Ungaretti, l'autobiografismo vociano, Charles Péguy) che nutrono di aneliti misticheggianti una sopravvivente filigrana dannunziana.
«Nomi, fantasmi, vestigia di secoli». Rifrazioni paesaggistiche nelle prose di Ada Negri / Varini, Diego. - (2021), pp. 131-145.
«Nomi, fantasmi, vestigia di secoli». Rifrazioni paesaggistiche nelle prose di Ada Negri
Varini, Diego
2021-01-01
Abstract
Nelle pagine di "Erba sul sagrato" (1939), Ada Negri sembra intrecciare con il paesaggio lombardo e italiano un rapporto complesso, fitto di accensioni coloristiche e di rapimenti estatici, modulato su tonalità elegiache che la scrittrice governa con morbido estro felice, trasformando minuti frammenti diaristici (visioni scorciate di monumenti e luoghi) in apparizioni tramate di sorvegliato pathos epifanico. Davanti al rosso mattone della pavese San Teodoro («brace stanca di ardere»), ovvero di fronte alla «radiosa brutalità» della marina ligure, l’attitudine paesaggistica della Negri cerca nell’austera immanenza dei segni architettonici – e nella cangiante mutevolezza degli spettacoli naturali – il segno di una misteriosa profondità e durata. Il saggio ripercorre l'ultima stagione della scrittrice lodigiana – il suo ventennale e tormentato attraversamento dell'entre-deux-guerres italiano – indagando la trama di un dialogo sotterraneo con esperienze della stagione modernista (il primo Ungaretti, l'autobiografismo vociano, Charles Péguy) che nutrono di aneliti misticheggianti una sopravvivente filigrana dannunziana.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.