La questione delle periferie si è trasformata non più solo in un problema generale di piano, di gestione, di riuso, di dotazione di servizi, di creazione di nuove opportunità e di rafforzamento delle connessioni; il contributo intende riesaminare le risposte particolari che alcuni architetti italiani hanno fornito per tre grandi città del nostro paese. Milano: la periferia nord ovest e il nuovo quartiere Gallaratese; Roma: l’agro romano e la linea lunga un chilometro; Palermo: la periferia agricola a settentrione e un quartiere come città di fondazione. Queste architetture testimoniano il contributo originale dell’architettura italiana alla rielaborazione dell’eredità moderna, restituiscono ricerche e teorie delle scuole di Venezia, Roma, Milano e si pongono nel loro essere compiute costruzioni come ultimi punti certi di partenza per un necessario cambiamento di direzione. Negli esempi citati, a fronte di soluzioni tipo-morfologiche completamente diverse, appare l’incapacità collettiva di utilizzare gli spazi ideati per l’uso pubblico, esclusivo o parziale: i portici, i tetti abitati, il teatro, il vuoto dei piani, le botteghe, i servizi di quartiere. Risulta evidente non tanto l’incapacità dell’architettura italiana nel progettare soluzioni coerenti, ma piuttosto quella dell’intero Paese nel realizzare soluzioni architettoniche ad una scala maggiore di quella della piccola o media iniziativa privata. La dialettica tra spazio pubblico e spazio privato si rivela, di conseguenza, totalmente inefficace ed esprime una questione sociale che si voleva superare, ma che ancora permane in un’evoluzione negativa. La dimensione periferica sociale, personale e familiare è talmente profonda da non venire, generalmente, intaccata da una costruzione collettiva, peraltro oggi opzione sempre più impraticabile. Le città europee e nordamericane si sono sperimentate da decenni sulla “nuova dimensione pubblica” del vuoto (inteso come spazio aperto), nella sua definizione progettuale, per ri-centrare le periferie sugli spazi aperti, per porre così le periferie, la loro diversa umanità, al centro.

Vivere la periferia / Costruire dalla periferia / Cortesi, Isotta. - (2017), pp. 118-122.

Vivere la periferia / Costruire dalla periferia

isotta cortesi
2017-01-01

Abstract

La questione delle periferie si è trasformata non più solo in un problema generale di piano, di gestione, di riuso, di dotazione di servizi, di creazione di nuove opportunità e di rafforzamento delle connessioni; il contributo intende riesaminare le risposte particolari che alcuni architetti italiani hanno fornito per tre grandi città del nostro paese. Milano: la periferia nord ovest e il nuovo quartiere Gallaratese; Roma: l’agro romano e la linea lunga un chilometro; Palermo: la periferia agricola a settentrione e un quartiere come città di fondazione. Queste architetture testimoniano il contributo originale dell’architettura italiana alla rielaborazione dell’eredità moderna, restituiscono ricerche e teorie delle scuole di Venezia, Roma, Milano e si pongono nel loro essere compiute costruzioni come ultimi punti certi di partenza per un necessario cambiamento di direzione. Negli esempi citati, a fronte di soluzioni tipo-morfologiche completamente diverse, appare l’incapacità collettiva di utilizzare gli spazi ideati per l’uso pubblico, esclusivo o parziale: i portici, i tetti abitati, il teatro, il vuoto dei piani, le botteghe, i servizi di quartiere. Risulta evidente non tanto l’incapacità dell’architettura italiana nel progettare soluzioni coerenti, ma piuttosto quella dell’intero Paese nel realizzare soluzioni architettoniche ad una scala maggiore di quella della piccola o media iniziativa privata. La dialettica tra spazio pubblico e spazio privato si rivela, di conseguenza, totalmente inefficace ed esprime una questione sociale che si voleva superare, ma che ancora permane in un’evoluzione negativa. La dimensione periferica sociale, personale e familiare è talmente profonda da non venire, generalmente, intaccata da una costruzione collettiva, peraltro oggi opzione sempre più impraticabile. Le città europee e nordamericane si sono sperimentate da decenni sulla “nuova dimensione pubblica” del vuoto (inteso come spazio aperto), nella sua definizione progettuale, per ri-centrare le periferie sugli spazi aperti, per porre così le periferie, la loro diversa umanità, al centro.
2017
9788860492869
Vivere la periferia / Costruire dalla periferia / Cortesi, Isotta. - (2017), pp. 118-122.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11381/2900934
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