Il crollo di Wall Street determinò la recessione mondiale. Già nel dicembre 1928 e nel marzo 1929 la borsa americana subì due sensibili contrazioni, per cui nell'ottobre ci si illuse che si trattasse solo di un auspicabile ridimensionamento della bolla. In realtà l'indice Dow-Jones di allora, se comparato con alcuni picchi di valore del mercato registrati nella seconda metà del XX, non fu eccezionale. La fragilità del sistema era insita nella debolezza del settore creditizio che avrebbe dovuto supportarlo. Il sistema bancario non era sano. A differenza dell'Europa gli Stati Uniti avevano molti piccoli istituti non controllati dalla Federal Reserve che operavano con scarsi mezzi propri, con un raggio d’azione limitato e una gestione inadeguata. Di contro il sistema borsistico procedeva a grandi balzi acrobatici sollecitato da tre fattori: a) le speculazioni di alcuni grandi operatori; b) le politiche di credito facile; c) i nuovi strumenti di gestione del denaro come gli Investment trusts. Si trattava di nuove società mutuate da una innovazione inglese di fine XIX secolo. I cittadini statunitensi acquistavano le azioni di una compagnia di investimento che impiegava il capitale così ottenuto per speculare in borsa. In questo modo anche i piccoli risparmiatori potevano fare ricorso a un operatore professionale che, gestendo un portafoglio titoli di qualche centinaio di società, potevano diversificare i rischi molto meglio dei singoli. Alla fine degli anni Venti negli Stati Uniti si formarono un centinaio di trust. Inizialmente i promotori si erano impegnati a rispettare norme rigorose e trasparenti, ma, nel vortice del mercato rialzista, queste cautele progressivamente non furono più osservate. Così i risparmiatori, acquistando le azioni del trust, gli conferivano sostanzialmente un mandato cieco e ad alto rischio, anche perché spesso queste azioni erano prive del diritto di voto. I loro titoli furono ammessi alla contrattazione solo nel 1929, ma il fatto che la borsa di New York imponesse obblighi di informazioni e di trasparenza li spinse a quotarsi nelle città minori in modo da non pubblicizzare la loro gestione. Essi si giustificarono con il pretesto che altrimenti si sarebbe scatenata una corsa ai titoli che avevano scelto e assicurando che le informazioni sarebbero state rese note a tempo debito. Molti Investment trust ne generarono altri, moltiplicando le azioni. Gli stessi brokers prestavano ai propri clienti o costituivano nuove imprese. L’illusione di una economia sana era alimentata solo dalla straordinaria vitalità della borsa e i corsi dei titoli non erano correlati alla capacità delle aziende di produrre utili. Gli acquisti furono sollecitati dal fatto che bastava depositare una percentuale e lasciare le azioni come garanzia collaterale, tanto nessuno le avrebbe conservate. Tutti le volevano per rivenderle. Fin dal 1928 la Federal Reserve era consapevole che si trattava di una bolla speculativa e che sarebbe stato opportuno prendere provvedimenti per sgonfiarla, ma nessuno lo fece per non attirarsi le antipatie del mercato e per non influenzare le imminenti elezioni presidenziali. Fra la fine dell'anno e la primavera di quello successivo si verificarono alcuni episodi in cui i corsi caddero, ma si ripresero rapidamente. Poi il trend mutò il verso. Finalmente nell’autunno 1929 gli insider iniziarono a vendere: i prezzi crollarono e all’euforia subentrò il panico. Il crash di Wall Street entrò nella fase più drammatica il 10 ottobre e culminò il 13 novembre, ove si registrò una perdita secca del Dow Jones del 43% in un solo mese. In questa profonda e rapida correzione si assistette a un rimbalzo tecnico intermedio di due sedute alla fine di ottobre. Il massimo storico toccato dall’indice il 3 settembre 1929 era ormai lontano. Esso costituì infatti un punto di notevole sopravvalutazione delle quotazioni, che, dopo quattro anni di corsa, avevano quasi quadruplicato il proprio valore (nei soli mesi estivi l’indice avanzò del 31%). Il 13 novembre i corsi di Wall Street tornarono sul livello della metà dell'anno precedente. Ne seguì una reazione, culminata nell’aprile del 1930, che non riuscì comunque ad andare oltre il 50% di recupero del tracollo autunnale. Poi si innescò una nuova discesa che nel giugno 1930 ricondusse la borsa americana in prossimità dei livelli più bassi del 1929. Nell’ottobre, un anno esatto dopo l’avvio della crisi, Wall Street registrò nuovi minimi che condussero progressivamente, nell’ambito di un trend ribassista in cui tutti i massimi e i minimi intermedi furono rigorosamente decrescenti, al punto più basso toccato nell’estate 1932, in cui il Dow Jones precipitò a 41 punti. Si era ormai nel pieno della grande depressione economica (la borsa recuperò il minimo del ’29 solamente all’inizio degli anni Cinquanta). La liquidità si prosciugò e il corso degli eventi cambiò radicalmente. Il crollo dei corsi dei titoli privò le banche dei margini sui beni in garanzia e i debitori preferirono perdere la cauzione piuttosto che saldare la cifra pattuita. La crisi borsistica si propagò al mercato del credito che iniziò a rarefarsi, i prezzi crollarono e iniziò la deflazione da debito. la recessione si estese all’economia reale, generando la caduta degli investimenti, dell'occupazione e dei consumi. Se il mercato rialzista di Calvin Coolidge fu un fenomeno straordinario, altrettanto lo fu la sua liquidazione. Come scrisse John Kenneth Galbraith, la speculazione necessita di fiducia e di un diffuso ottimismo. Una <<fiducia cieca>> è essenziale per generare un boom. Inoltre il risparmio deve essere abbondante perché la speculazione si alimenta di fondi presi a prestito e se i risparmi sono più elevati si è più propensi a rischiarne una parte. La speculazione di norma si scatena in seguito alla prosperità, non dopo la depressione. Altri come Milton Friedman hanno soprattutto evidenziato gli errori della Federal Reserve nel gestire la politica monetaria prima e dopo lo scoppio della bolla.

La crisi del capitalismo / Podesta', Gian Luca. - STAMPA. - (2017), pp. 171-182.

La crisi del capitalismo

PODESTA', Gian Luca
2017-01-01

Abstract

Il crollo di Wall Street determinò la recessione mondiale. Già nel dicembre 1928 e nel marzo 1929 la borsa americana subì due sensibili contrazioni, per cui nell'ottobre ci si illuse che si trattasse solo di un auspicabile ridimensionamento della bolla. In realtà l'indice Dow-Jones di allora, se comparato con alcuni picchi di valore del mercato registrati nella seconda metà del XX, non fu eccezionale. La fragilità del sistema era insita nella debolezza del settore creditizio che avrebbe dovuto supportarlo. Il sistema bancario non era sano. A differenza dell'Europa gli Stati Uniti avevano molti piccoli istituti non controllati dalla Federal Reserve che operavano con scarsi mezzi propri, con un raggio d’azione limitato e una gestione inadeguata. Di contro il sistema borsistico procedeva a grandi balzi acrobatici sollecitato da tre fattori: a) le speculazioni di alcuni grandi operatori; b) le politiche di credito facile; c) i nuovi strumenti di gestione del denaro come gli Investment trusts. Si trattava di nuove società mutuate da una innovazione inglese di fine XIX secolo. I cittadini statunitensi acquistavano le azioni di una compagnia di investimento che impiegava il capitale così ottenuto per speculare in borsa. In questo modo anche i piccoli risparmiatori potevano fare ricorso a un operatore professionale che, gestendo un portafoglio titoli di qualche centinaio di società, potevano diversificare i rischi molto meglio dei singoli. Alla fine degli anni Venti negli Stati Uniti si formarono un centinaio di trust. Inizialmente i promotori si erano impegnati a rispettare norme rigorose e trasparenti, ma, nel vortice del mercato rialzista, queste cautele progressivamente non furono più osservate. Così i risparmiatori, acquistando le azioni del trust, gli conferivano sostanzialmente un mandato cieco e ad alto rischio, anche perché spesso queste azioni erano prive del diritto di voto. I loro titoli furono ammessi alla contrattazione solo nel 1929, ma il fatto che la borsa di New York imponesse obblighi di informazioni e di trasparenza li spinse a quotarsi nelle città minori in modo da non pubblicizzare la loro gestione. Essi si giustificarono con il pretesto che altrimenti si sarebbe scatenata una corsa ai titoli che avevano scelto e assicurando che le informazioni sarebbero state rese note a tempo debito. Molti Investment trust ne generarono altri, moltiplicando le azioni. Gli stessi brokers prestavano ai propri clienti o costituivano nuove imprese. L’illusione di una economia sana era alimentata solo dalla straordinaria vitalità della borsa e i corsi dei titoli non erano correlati alla capacità delle aziende di produrre utili. Gli acquisti furono sollecitati dal fatto che bastava depositare una percentuale e lasciare le azioni come garanzia collaterale, tanto nessuno le avrebbe conservate. Tutti le volevano per rivenderle. Fin dal 1928 la Federal Reserve era consapevole che si trattava di una bolla speculativa e che sarebbe stato opportuno prendere provvedimenti per sgonfiarla, ma nessuno lo fece per non attirarsi le antipatie del mercato e per non influenzare le imminenti elezioni presidenziali. Fra la fine dell'anno e la primavera di quello successivo si verificarono alcuni episodi in cui i corsi caddero, ma si ripresero rapidamente. Poi il trend mutò il verso. Finalmente nell’autunno 1929 gli insider iniziarono a vendere: i prezzi crollarono e all’euforia subentrò il panico. Il crash di Wall Street entrò nella fase più drammatica il 10 ottobre e culminò il 13 novembre, ove si registrò una perdita secca del Dow Jones del 43% in un solo mese. In questa profonda e rapida correzione si assistette a un rimbalzo tecnico intermedio di due sedute alla fine di ottobre. Il massimo storico toccato dall’indice il 3 settembre 1929 era ormai lontano. Esso costituì infatti un punto di notevole sopravvalutazione delle quotazioni, che, dopo quattro anni di corsa, avevano quasi quadruplicato il proprio valore (nei soli mesi estivi l’indice avanzò del 31%). Il 13 novembre i corsi di Wall Street tornarono sul livello della metà dell'anno precedente. Ne seguì una reazione, culminata nell’aprile del 1930, che non riuscì comunque ad andare oltre il 50% di recupero del tracollo autunnale. Poi si innescò una nuova discesa che nel giugno 1930 ricondusse la borsa americana in prossimità dei livelli più bassi del 1929. Nell’ottobre, un anno esatto dopo l’avvio della crisi, Wall Street registrò nuovi minimi che condussero progressivamente, nell’ambito di un trend ribassista in cui tutti i massimi e i minimi intermedi furono rigorosamente decrescenti, al punto più basso toccato nell’estate 1932, in cui il Dow Jones precipitò a 41 punti. Si era ormai nel pieno della grande depressione economica (la borsa recuperò il minimo del ’29 solamente all’inizio degli anni Cinquanta). La liquidità si prosciugò e il corso degli eventi cambiò radicalmente. Il crollo dei corsi dei titoli privò le banche dei margini sui beni in garanzia e i debitori preferirono perdere la cauzione piuttosto che saldare la cifra pattuita. La crisi borsistica si propagò al mercato del credito che iniziò a rarefarsi, i prezzi crollarono e iniziò la deflazione da debito. la recessione si estese all’economia reale, generando la caduta degli investimenti, dell'occupazione e dei consumi. Se il mercato rialzista di Calvin Coolidge fu un fenomeno straordinario, altrettanto lo fu la sua liquidazione. Come scrisse John Kenneth Galbraith, la speculazione necessita di fiducia e di un diffuso ottimismo. Una <> è essenziale per generare un boom. Inoltre il risparmio deve essere abbondante perché la speculazione si alimenta di fondi presi a prestito e se i risparmi sono più elevati si è più propensi a rischiarne una parte. La speculazione di norma si scatena in seguito alla prosperità, non dopo la depressione. Altri come Milton Friedman hanno soprattutto evidenziato gli errori della Federal Reserve nel gestire la politica monetaria prima e dopo lo scoppio della bolla.
2017
9788892107595
La crisi del capitalismo / Podesta', Gian Luca. - STAMPA. - (2017), pp. 171-182.
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