La prima guerra mondiale fu l'evento più importante del XX secolo. Essa pose fine a un periodo di pace e di progresso pressoché ininterrotto dal 1870. Il conflitto indebolì l'Europa che perse definitivamente il primato politico ed economico e plasmò la geopolitica mondiale fino al 1989. Il commercio internazionale fu gravemente danneggiato e non tornò più ai livelli dell'anteguerra. Il sistema monetario internazionale si disintegrò, perché con l'eccezione degli Stati Uniti tutti i belligeranti abbandonarono il gold standard. La guerra fu definita come "grande" non solo per il numero dei paesi coinvolti e quello dei combattenti, le distruzioni e le perdite di vite umane o la durata, ma perché fu rivoluzionaria, livellante, inteclassista: l'incubatore delle trasformazioni del '900. Il conflitto modificò radicalmente la politica, la società, la cultura e l'economia, e sancì il tramonto del positivismo e dell'individualismo liberale. Il dopoguerra salutò l'avvento della concezione di uno stato organico collettivistico che garantiva nuovi diritti per i propri cittadini come quello del lavoro, del benessere e della salute e dell'istruzione, ridefinendo e rimodellando i rapporti tra il potere politico e il capitalismo. Lo stato dilatò ampiamente le proprie prerogative di intervento, vigilanza e controllo non solo in campo economico, ma anche in ambito sociale, e questa fu una delle conseguenze più radicali del conflitto. Negli anni tra le due guerre per colmare i vuoti lasciati nelle generazioni più giovani dai combattenti caduti esso entrò anche nella vita più intima delle persone e delle famiglie, programmando politiche demografiche e di igiene pubblica. Inoltre molti stati (non solo quelli totalitari, ma anche democrazie come la Svezia e gli Stati Uniti) avviarono politiche eugeniche per prevenire fenomeni di devianza sociale. La costituzione della repubblica di Weimar nel 1919, disegnata all'indomani della sconfitta della Germania e idealmente rappresentativa della società interclassista nata nelle trincee, costituì l'archetipo di un modo originale di concepire la comunità nazionale e rappresentò un modello ideale cui tendere nelle nuove democrazie del XX secolo. Essa fondava un diverso spirito nel concepire le relazioni tra i cittadini e lo stato; attribuiva a quest'ultimo la responsabilità di garantire ai primi il soddisfacimento dei bisogni primari essenziali (lavoro, istruzione e sanità); ridisegnava le connessioni tra i diritti collettivi e quelli individuali; sublimava la dignità del lavoro, intellettuale e manuale; rivoluzionava a beneficio della comunità nazionale i rapporti tra capitale e lavoro, rendita e profitto, nonché rendita e lavoro. L'economia doveva assicurare a tutti <<un'esistenza degna dell'uomo>> e in tal senso andava regolata l'iniziativa privata. La proprietà era garantita, ma il suo utilizzo doveva volgersi anche <<al bene comune>>. Ogni cittadino aveva il <<dovere morale>> di impegnare le proprie <<energie>> utilmente per la collettività. A ciascun tedesco doveva essere assicurato il sostentamento mediante il lavoro, ma quando questo non fosse possibile, l'onere doveva essere garantito dalla pubblica amministrazione Lo stato poteva confiscare la terra e distribuirla agli ex-combattenti. Esso aveva anche la facoltà di nazionalizzare le imprese quando questo fosse ritenuto strategico per il benessere collettivo, o di disporne la concentrazione in determinati settori di interesse pubblico. Lo stato godeva del diritto di pianificare la produzione, la distribuzione e l'utilizzo delle merci, di controllarne i prezzi, nonché anche l'importazione e l'esportazione dei beni. Era sostenuta la collaborazione dei tecnici e degli operai con gli imprenditori per il miglioramento delle condizioni di lavoro e per lo <<sviluppo economico complessivo>> dell'azienda.
La "grande guerra": la fine di un mondo / Podesta', Gian Luca. - STAMPA. - (2017), pp. 139-154.
La "grande guerra": la fine di un mondo
PODESTA', Gian Luca
2017-01-01
Abstract
La prima guerra mondiale fu l'evento più importante del XX secolo. Essa pose fine a un periodo di pace e di progresso pressoché ininterrotto dal 1870. Il conflitto indebolì l'Europa che perse definitivamente il primato politico ed economico e plasmò la geopolitica mondiale fino al 1989. Il commercio internazionale fu gravemente danneggiato e non tornò più ai livelli dell'anteguerra. Il sistema monetario internazionale si disintegrò, perché con l'eccezione degli Stati Uniti tutti i belligeranti abbandonarono il gold standard. La guerra fu definita come "grande" non solo per il numero dei paesi coinvolti e quello dei combattenti, le distruzioni e le perdite di vite umane o la durata, ma perché fu rivoluzionaria, livellante, inteclassista: l'incubatore delle trasformazioni del '900. Il conflitto modificò radicalmente la politica, la società, la cultura e l'economia, e sancì il tramonto del positivismo e dell'individualismo liberale. Il dopoguerra salutò l'avvento della concezione di uno stato organico collettivistico che garantiva nuovi diritti per i propri cittadini come quello del lavoro, del benessere e della salute e dell'istruzione, ridefinendo e rimodellando i rapporti tra il potere politico e il capitalismo. Lo stato dilatò ampiamente le proprie prerogative di intervento, vigilanza e controllo non solo in campo economico, ma anche in ambito sociale, e questa fu una delle conseguenze più radicali del conflitto. Negli anni tra le due guerre per colmare i vuoti lasciati nelle generazioni più giovani dai combattenti caduti esso entrò anche nella vita più intima delle persone e delle famiglie, programmando politiche demografiche e di igiene pubblica. Inoltre molti stati (non solo quelli totalitari, ma anche democrazie come la Svezia e gli Stati Uniti) avviarono politiche eugeniche per prevenire fenomeni di devianza sociale. La costituzione della repubblica di Weimar nel 1919, disegnata all'indomani della sconfitta della Germania e idealmente rappresentativa della società interclassista nata nelle trincee, costituì l'archetipo di un modo originale di concepire la comunità nazionale e rappresentò un modello ideale cui tendere nelle nuove democrazie del XX secolo. Essa fondava un diverso spirito nel concepire le relazioni tra i cittadini e lo stato; attribuiva a quest'ultimo la responsabilità di garantire ai primi il soddisfacimento dei bisogni primari essenziali (lavoro, istruzione e sanità); ridisegnava le connessioni tra i diritti collettivi e quelli individuali; sublimava la dignità del lavoro, intellettuale e manuale; rivoluzionava a beneficio della comunità nazionale i rapporti tra capitale e lavoro, rendita e profitto, nonché rendita e lavoro. L'economia doveva assicurare a tutti <I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.