L’Inno a Nettuno e le Odae adespotae, composti a Recanati nel 1816 e pubblicati l’anno successivo a Milano come presunti inni greci ritrovati in un oscuro codice medievale, rappresentano uno dei più audaci tentativi di Giacomo Leopardi sul terreno dell’imitazione degli antichi. Stesi in volgare, in greco e in latino, essi costituiscono paradossalmente i primi componimenti poetici originali fatti stampare dal giovane autore che, dietro un intrigante gioco di mascheramento e depistaggio dei propri lettori, volle testare con eccezionale sperimentalismo le possibilità della lirica moderna di farsi interprete della naturalezza appartenente alla dimensione poetica classica. La presente edizione offre per la prima volta un commento puntuale a questi testi, di cui vengono approfonditi il valore storico-letterario e le diverse e molteplici implicazioni con la scrittura “antica” dei futuri Canti. Nei falsi leopardiani si riconoscono infatti le profonde radici dell’apprendistato letterario dell’autore, il rapporto che egli intrattenne nelle vesti di filologo e di poeta con i modelli greci (specialmente con Omero, Anacreonte e Callimaco), l’in usso delle sue coeve teorie sulla traduzione, nonché - sullo sfondo - i legami con il contemporaneo dibattito classico-romantico.
Giacomo Leopardi, Inno a Nettuno e Odae adespotae (1816-1817), a cura di Margherita Centenari, Venezia, Marsilio / Centenari, Margherita. - STAMPA. - 20:(2016), pp. 1-289.
Giacomo Leopardi, Inno a Nettuno e Odae adespotae (1816-1817), a cura di Margherita Centenari, Venezia, Marsilio
CENTENARI, Margherita
2016-01-01
Abstract
L’Inno a Nettuno e le Odae adespotae, composti a Recanati nel 1816 e pubblicati l’anno successivo a Milano come presunti inni greci ritrovati in un oscuro codice medievale, rappresentano uno dei più audaci tentativi di Giacomo Leopardi sul terreno dell’imitazione degli antichi. Stesi in volgare, in greco e in latino, essi costituiscono paradossalmente i primi componimenti poetici originali fatti stampare dal giovane autore che, dietro un intrigante gioco di mascheramento e depistaggio dei propri lettori, volle testare con eccezionale sperimentalismo le possibilità della lirica moderna di farsi interprete della naturalezza appartenente alla dimensione poetica classica. La presente edizione offre per la prima volta un commento puntuale a questi testi, di cui vengono approfonditi il valore storico-letterario e le diverse e molteplici implicazioni con la scrittura “antica” dei futuri Canti. Nei falsi leopardiani si riconoscono infatti le profonde radici dell’apprendistato letterario dell’autore, il rapporto che egli intrattenne nelle vesti di filologo e di poeta con i modelli greci (specialmente con Omero, Anacreonte e Callimaco), l’in usso delle sue coeve teorie sulla traduzione, nonché - sullo sfondo - i legami con il contemporaneo dibattito classico-romantico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.