L’udienza preliminare riveste un ruolo sistematico decisivo, atteggiandosi a fase, già processuale e pienamente giurisdizionale, chiamata a evitare la celebrazione di dibattimenti inutili, e configurandosi pure come contesto spaziale e temporale per l’instaurazione dei riti alternativi al dibattimento. La scelta del legislatore del 1988 - che ha permesso alla dottrina di ravvisare nell’udienza preliminare l’emblema del nuovo processo penale e che, in seguito, è stata irrobustita dalla significative riforme degli ultimi anni del secolo scorso - era di evitare che il dibattimento potesse essere instaurato sulla base della unilaterale scelta del pubblico ministero di esercitare l’azione penale, in assenza di un vaglio preliminare sulla fondatezza dell’imputazione. La monografia si propone di ricostruire in chiave storica e comparatistica l’origine dell’istituto, smentendo l’assunto tradizionale per cui il controllo preliminare sull’imputazione appare una scelta imposta dal recepimento di un modello processuale di stampo accusatorio: l’analisi diacronica e comparatistica evidenzia come un simile vaglio preliminare sia trasversalmente previsto nei sistemi ispirati al modello misto, di derivazione napoleonica, ed in quelli di common law, improntati al paradigma dell’adversary process. Il vaglio preliminare, che ha natura processuale e non mira all’accertamento della colpevolezza dell’imputato, deve essere regolato da stringenti criteri di giudizio: in presenza d’un filtro debole, la funzione di evitare dibattimenti inutili sconta un deficit di effettività. Nonostante le riforme del 1999-2000 abbiano ampliato al sfera per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, la giurisprudenza svilisce tale la funzione di filtro, sulla base del criterio per cui la celebrazione del dibattimento non è mai superflua quando, pur in presenza di un quadro probatorio contraddittorio nell’udienza preliminare, il giudizio dibattimentale presenti una “soluzione aperta” sul terreno della decisione finale. Il grande rilievo sistematico dell’udienza preliminare non trova, poi, adeguato riscontro sul piano procedimentale: come efficacemente s’è detto, la disciplina positiva dell’udienza preliminare costituisce più un canovaccio normativo che una compiuta regolamentazione tesa ad un ordinato svolgersi delle attività delle parti nel corso dell’udienza. Così, la prassi plasma sensibilmente il dipanarsi degli atti, secondo schemi flessibili e, talvolta, variabili da ufficio a ufficio, che finiscono col compromettere le finalità tipiche dell’istituto. Spazi di discrezionalità particolarmente ampi emergono, ad esempio, sul terreno probatorio. Negli ultimi anni si è assistito ad un sensibile ampliamento dei canali attraverso i quali elementi di prova sopravvenuti rispetto a quelli a disposizione al momento del deposito della richiesta di rinvio a giudizio vanno a confluire nel fascicolo. Ad attività probatorie ad impulso di parte si affiancano quelle ad impulso d’ufficio, che, nella prassi, vengono a sovrapporsi con cadenze non ordinate. Secondo la giurisprudenza, il pubblico ministero e i difensori sarebbero legittimato a depositare nel fascicolo nuovi elementi sino al momento di rassegnare le conclusioni, con la conseguenza di imporre il differimento dell’udienza allo scopo di assicurare il corretto esplicarsi del contraddittorio argomentativo. D’altro canto, la giurisprudenza riconosce che il giudice gode del potere di ordinare al pubblico ministero un supplemento d’indagine ancor prima che le parti abbiano svolto la discussione, mettendolo così nelle condizioni di valutare se il processo sia definibile allo stato degli atti o se occorra completare il panorama probatorio in vista della deliberazione. Lo spiccato “protagonismo” del giudice dell’udienza preliminare contrasta, però, con la sua necessaria neutralità metodologica, tanto più quando egli sia chiamato a definire il giudizio abbreviato o a pronunciare sentenza di patteggiamento. La monografia tenta così d’individuare precise scansioni della fase dell’udienza preliminare che, da un lato, siano coerenti con l’esigenza di assicurare l’efficienza del filtro qui attuato e, dall’altro, assicurino la parità delle parti e l’imparzialità dell’organo giurisdizionale.

L'udienza preliminare. Struttura e funzioni / Cassibba, Fabio Salvatore. - (2007), pp. 1-466.

L'udienza preliminare. Struttura e funzioni

CASSIBBA, Fabio Salvatore
2007-01-01

Abstract

L’udienza preliminare riveste un ruolo sistematico decisivo, atteggiandosi a fase, già processuale e pienamente giurisdizionale, chiamata a evitare la celebrazione di dibattimenti inutili, e configurandosi pure come contesto spaziale e temporale per l’instaurazione dei riti alternativi al dibattimento. La scelta del legislatore del 1988 - che ha permesso alla dottrina di ravvisare nell’udienza preliminare l’emblema del nuovo processo penale e che, in seguito, è stata irrobustita dalla significative riforme degli ultimi anni del secolo scorso - era di evitare che il dibattimento potesse essere instaurato sulla base della unilaterale scelta del pubblico ministero di esercitare l’azione penale, in assenza di un vaglio preliminare sulla fondatezza dell’imputazione. La monografia si propone di ricostruire in chiave storica e comparatistica l’origine dell’istituto, smentendo l’assunto tradizionale per cui il controllo preliminare sull’imputazione appare una scelta imposta dal recepimento di un modello processuale di stampo accusatorio: l’analisi diacronica e comparatistica evidenzia come un simile vaglio preliminare sia trasversalmente previsto nei sistemi ispirati al modello misto, di derivazione napoleonica, ed in quelli di common law, improntati al paradigma dell’adversary process. Il vaglio preliminare, che ha natura processuale e non mira all’accertamento della colpevolezza dell’imputato, deve essere regolato da stringenti criteri di giudizio: in presenza d’un filtro debole, la funzione di evitare dibattimenti inutili sconta un deficit di effettività. Nonostante le riforme del 1999-2000 abbiano ampliato al sfera per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, la giurisprudenza svilisce tale la funzione di filtro, sulla base del criterio per cui la celebrazione del dibattimento non è mai superflua quando, pur in presenza di un quadro probatorio contraddittorio nell’udienza preliminare, il giudizio dibattimentale presenti una “soluzione aperta” sul terreno della decisione finale. Il grande rilievo sistematico dell’udienza preliminare non trova, poi, adeguato riscontro sul piano procedimentale: come efficacemente s’è detto, la disciplina positiva dell’udienza preliminare costituisce più un canovaccio normativo che una compiuta regolamentazione tesa ad un ordinato svolgersi delle attività delle parti nel corso dell’udienza. Così, la prassi plasma sensibilmente il dipanarsi degli atti, secondo schemi flessibili e, talvolta, variabili da ufficio a ufficio, che finiscono col compromettere le finalità tipiche dell’istituto. Spazi di discrezionalità particolarmente ampi emergono, ad esempio, sul terreno probatorio. Negli ultimi anni si è assistito ad un sensibile ampliamento dei canali attraverso i quali elementi di prova sopravvenuti rispetto a quelli a disposizione al momento del deposito della richiesta di rinvio a giudizio vanno a confluire nel fascicolo. Ad attività probatorie ad impulso di parte si affiancano quelle ad impulso d’ufficio, che, nella prassi, vengono a sovrapporsi con cadenze non ordinate. Secondo la giurisprudenza, il pubblico ministero e i difensori sarebbero legittimato a depositare nel fascicolo nuovi elementi sino al momento di rassegnare le conclusioni, con la conseguenza di imporre il differimento dell’udienza allo scopo di assicurare il corretto esplicarsi del contraddittorio argomentativo. D’altro canto, la giurisprudenza riconosce che il giudice gode del potere di ordinare al pubblico ministero un supplemento d’indagine ancor prima che le parti abbiano svolto la discussione, mettendolo così nelle condizioni di valutare se il processo sia definibile allo stato degli atti o se occorra completare il panorama probatorio in vista della deliberazione. Lo spiccato “protagonismo” del giudice dell’udienza preliminare contrasta, però, con la sua necessaria neutralità metodologica, tanto più quando egli sia chiamato a definire il giudizio abbreviato o a pronunciare sentenza di patteggiamento. La monografia tenta così d’individuare precise scansioni della fase dell’udienza preliminare che, da un lato, siano coerenti con l’esigenza di assicurare l’efficienza del filtro qui attuato e, dall’altro, assicurino la parità delle parti e l’imparzialità dell’organo giurisdizionale.
2007
881413748X
L'udienza preliminare. Struttura e funzioni / Cassibba, Fabio Salvatore. - (2007), pp. 1-466.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11381/2820911
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