La mostra Henry Moore, co-curata da Chris Stephens e Davide Colombo presso il Museo Nazionale Romano - Terme di Diocleziano di Roma, 24 settembre 2015-10 gennaio 2016, rappresenta una monografica sullo scultore inglese con 77 opere tra sculture, disegni, acquerelli e stampe, a venti anni dalla precedente mostra alla Fondazione Cini di Venezia nel 1995. La rassegna presenta l’intero percorso creativo di Moore, considerato uno dei più importanti scultori del Novecento per l’abilità tecnica e l’inventiva con cui ha saputo coniugare l’astrattismo e la ricerca sulla figura umana. Le sue sculture, anche di dimensioni monumentali, entrano in dialogo con gli spazi scenografici delle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano e con la tradizione classica rappresentata nel percorso espositivo del Museo Nazionale Romano. La mostra è articolata in 5 sezioni tematiche: “L’esplorazione del moderno”, intrapresa da Moore a partire dall’eredità ricevuta da artisti come Epstein, Gaudier-Brzeska, Modigliani, Brancusi, Archipenko e Picasso, commista al fascino delle culture arcaiche ed extraeuropee; “Guerra e Pace”, dedicata all’impegno dell’artista durante la Seconda Guerra Mondiale e al passaggio cruciale della fine degli anni Quaranta; “Madre e figlio”, uno dei suoi più famosi soggetti, quasi un’ossessione presente lungo tutto l’arco della sua carriera, che – in dialogo con la tradizione romanica – produce immagini di amore materno e protezione; “Figura distesa”, altro motivo ricorrente in molte sue sculture, con cui Moore ha esplorato le possibilità formali della figura femminile, resa quasi astratta, in un continuo confronto col paesaggio; “Scultura negli spazi pubblici”, per opere spesso commissionate da istituzioni pubbliche e private, che, tendendo alla monumentalità, cercano un dialogo con lo spazio ambientale, come per esempio la grande scultura per la sede dell’UNESCO a Parigi, realizzata presso l’azienda Henraux di Querceta. Un nucleo piuttosto corposo di opere proviene dalle collezioni della Tate di Londra, che, dopo la Fondazione Henry Moore, possiede il più alto numero di opere dell’artista, grazie ad alcune importanti donazioni fatte da lui stesso. Altri prestiti significativi provenienti da istituzioni e musei italiani sono stati selezionati perché consentono di ripercorrere il forte legame di Moore con il nostro Paese, a partire dalla sua presenza alla Biennale di Venezia del 1948 che contribuì alla sua affermazione internazionale. In quell’occasione infatti vennero acquistati dal Ministero un disegno e una scultura per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, qui esposti insieme a una grande scultura acquistata dopo la grande mostra di Moore a Roma nel 1961; e sempre alla Biennale del 1948 venne presentato il bronzo di collezione Guggenheim esposto ora alle Terme; dall’Opera Santa Croce proviene una grande scultura degli anni Cinquanta di proprietà del British Institute di Firenze, così come dalla Fondazione Il Bisonte di Firenze – con cui Moore aveva a lungo collaborato per la produzione grafica – provengono tre piccole sculture e opere grafiche; una litografia è stata prestata dal Museo Collicola di Spoleto, città con cui Moore ebbe importanti legami, soprattutto per la partecipazione all’imporntate mostra Sculture nella città organizzata da Carandente nel 1962; infine dalla Pinacoteca di Brera proviene uno dei disegni dall’antico realizzati da Moore in occasione di un progetto di copie dai maestri italiani della collezione di Brera nel 1975. In più visto lo stretto rapporto intercorso tra Moore e Marino Marini, è stato esposto il ritratto in gesso di Moore realizzato dall’artista italiano e proveniente dal Museo del Novecento di Milano, come omaggio al maestro inglese. Per indagare e sottolineare i rapporti di Moore con l’Italia sono stati presentati in mostra anche tre documentari storici: uno in cui Moore ammira e descrive dal suo punto di vista la Pietà Rondanini di Michelangelo (RAI Teche), un secondo dedicato alla mostra di Spoleto del 1962, prestato dalla Biblioteca Carandente e infine un telegiornale Radar del 1972 sulla grande mostra di Firenze proveniente dall’Istituto Luce. Anche il catalogo è stato pensato sia per presentare il complesso e multiforme lavoro di Moore sia per ricostruire i rapporti di Moore con l’Italia: seguono, quindi, il saggio di Stephens sulla ricezione critica e il successo internazionale di Moore, quello di Salvagnini sulla diatriba surrealismo-astrattismo e su come Moore si sia mosso in entrambi i campi, il saggio di Negri sui disegni di guerra e quello di Silvia Bignami sulle sculture monumentali e pubbliche a partire dall’esempio della grande scultura proveniente dalla mostra di Firenze e poi collocata a Prato; il saggio a quattro mani Colombo-Zanchetti su Moore e l’Italia, e infine una doppia antologia critica e un’ampia biografia critica su Moore da parte di Colombo. Il saggio scritto a quattro mani con Giorgio Zanchetti (DC: Le Biennali di Venezia e Il Premio per la scultura del 1948; Moore e la scultura italiana degli anni quaranta-cinquanta; Scultura e incisione: tecnica “a levare”; GZ: The finest sculpture I met in Italy; Un paradigma del modernismo? Qualche esempio letterario; Di nuovo sugli antichi maestri) si concentra sul rapporto di Moore con l’Italia, stratificato e complesso, che spazia dall’ineludibile rivelazione del Rinascimento fiorentino e dei primitivi toscani, incontrati nel viaggio di studio del 1925, alle presenze d’avanguardia alla Biennale di Venezia – già nel 1930, ma soprattutto con l’affermazione internazionale del premio per la scultura nel 1948 – ai soggiorni in Versilia, dalla fine degli anni cinquanta, alla consacrazione delle grandi mostre di Roma (1961 e 1965), Spoleto (1962) e Firenze (1972), fino al ripensamento, ormai da testimone d’eccezione, sul Michelangelo della Pietà Rondanini e sul Donatello dei rilievi delle Storie di Sant’Antonio a Padova. Accompagnandolo in questo viaggio, non soltanto metaforico, attraverso la Penisola, è possibile individuare e chiarire i principali snodi della ricerca artistica di uno degli autori che meglio hanno saputo riflettere, nel Novecento, sulla tradizione e sul rinnovamento delle forme plastiche monumentali, attraverso e oltre l’astrazione. Nello specifico le parti scritte da Colombo hanno affrontato il nodo delle Biennali di Venezia e del panorama artistico inglese, italiano e internazionale degli anni Cinquanta. Sono state analizzate le partecipazioni di Moore alla e Biennali di Venezia (1930, 1948, 1952, 1954, 1962, 1964, 1972) soffermandosi soprattutto su quelle del secondo dopoguerra, grazie ai materiali d’archivio dell’ASAC che hanno portato alla luce materiali non noti o che hanno permesso di rettificare informazioni e considerazioni precedenti, e valutando la ricezione critica italiana e del suo lavoro e del premio per la scultura del 1948. Da qui si è valutata l’influenza di Moore sui giovani artisti inglesi – di cui si è ricostruita la fortuna critica in Italia a metà degli anni Cinquanta – e italiani (Cappello, Calò, Tavernari, Negri) e si è puntato uno sguardo più specifico sul rapporto con Marino Marini, frequentato soprattutto durante gli anni Sessanta. Inoltre, proponendo un parallelismo tra la scultura e l’incisione, entrambe tecniche a levare, sono state analizzate le sperimentazioni di Moore nell’ambito della grafica (in particlar modo anni Settanta) e sono stati ricostruito – anche qui tramite i documenti dell’Archivio della Fondazione Il Bisonte – i rapporti con Maria Luigia Guaita, proprietaria della Stamperia d’Arte Il Bisonte a Firenze. La Guaita fu, insieme a Carandente, fondamentale per l’organizzazione della grande mostra a Forte Belvedere a Firenze nel 1972 che sancì il definitivo successo internazionale di Moore. Il lavoro di studio e analisi si è basato su materiali di prima mano, in vari casi inediti, acquisiti attraverso un’attività di ricerca presso gli archivi dell’ASAC-Biennale di Venezia, Archivio Bioiconografico della GNAM di Roma, l’Archivio Storico della Fondazione Henraux di Querceta, l’Archivio Storico Generale del Comune di Prato, UNESCO Archives di Parigi, Biblioteca e Archivio Fotografico della GAM di Torino, La Fondazione IL Bisonte di Firenze, la Fondazione Marino Marini di Pistoia. Nel catalogo della mostra Henry Moore, oltre al saggio Moore sono state pubblicate da Davide Colombo anche una lunga e articolata biografia critica dell’artista e una doppia antologia critica di testi su Moore e di Moore. La prima antologia critica comprende una breve selezione di testi dedicati a Moore in Italia nel 1948 in occasione dell’assegnazione del Gran Premio Internazionale per la Scultura alla XXIV Biennale di Venezia, a partire proprio dal testo di Read pubblicato nel catalogo generale dell’esposizione e in quello personale edito dal British Council. La seconda antologia critica, invece, che comprende dodici testi di Moore sull’Italia e l’arte italiana (in gran arte in prima traduzione in italiano) è inserita all’interno della biografia critica a intervallare le vicende biografiche dell’artista. La lunga biografia critica narra della vita e della carriera di Moore, soffermandosi sui momenti e sulle opere più significative di cui viene offerta anche una breve analisi, ma soprattutto una contestualizzazione rispetto alla realtà storico-artistica inglese e internazionale, e alla fortuna espositiva, collezionistica e critica di Moore, senza dimenticare le differenti posizioni e letture che della sua ricerca sono state date nel corso del Novecento.
Henry Moore / Stephens, Chris; Colombo, Davide. - (2015), pp. 1-223.
Henry Moore
COLOMBO, Davide
2015-01-01
Abstract
La mostra Henry Moore, co-curata da Chris Stephens e Davide Colombo presso il Museo Nazionale Romano - Terme di Diocleziano di Roma, 24 settembre 2015-10 gennaio 2016, rappresenta una monografica sullo scultore inglese con 77 opere tra sculture, disegni, acquerelli e stampe, a venti anni dalla precedente mostra alla Fondazione Cini di Venezia nel 1995. La rassegna presenta l’intero percorso creativo di Moore, considerato uno dei più importanti scultori del Novecento per l’abilità tecnica e l’inventiva con cui ha saputo coniugare l’astrattismo e la ricerca sulla figura umana. Le sue sculture, anche di dimensioni monumentali, entrano in dialogo con gli spazi scenografici delle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano e con la tradizione classica rappresentata nel percorso espositivo del Museo Nazionale Romano. La mostra è articolata in 5 sezioni tematiche: “L’esplorazione del moderno”, intrapresa da Moore a partire dall’eredità ricevuta da artisti come Epstein, Gaudier-Brzeska, Modigliani, Brancusi, Archipenko e Picasso, commista al fascino delle culture arcaiche ed extraeuropee; “Guerra e Pace”, dedicata all’impegno dell’artista durante la Seconda Guerra Mondiale e al passaggio cruciale della fine degli anni Quaranta; “Madre e figlio”, uno dei suoi più famosi soggetti, quasi un’ossessione presente lungo tutto l’arco della sua carriera, che – in dialogo con la tradizione romanica – produce immagini di amore materno e protezione; “Figura distesa”, altro motivo ricorrente in molte sue sculture, con cui Moore ha esplorato le possibilità formali della figura femminile, resa quasi astratta, in un continuo confronto col paesaggio; “Scultura negli spazi pubblici”, per opere spesso commissionate da istituzioni pubbliche e private, che, tendendo alla monumentalità, cercano un dialogo con lo spazio ambientale, come per esempio la grande scultura per la sede dell’UNESCO a Parigi, realizzata presso l’azienda Henraux di Querceta. Un nucleo piuttosto corposo di opere proviene dalle collezioni della Tate di Londra, che, dopo la Fondazione Henry Moore, possiede il più alto numero di opere dell’artista, grazie ad alcune importanti donazioni fatte da lui stesso. Altri prestiti significativi provenienti da istituzioni e musei italiani sono stati selezionati perché consentono di ripercorrere il forte legame di Moore con il nostro Paese, a partire dalla sua presenza alla Biennale di Venezia del 1948 che contribuì alla sua affermazione internazionale. In quell’occasione infatti vennero acquistati dal Ministero un disegno e una scultura per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, qui esposti insieme a una grande scultura acquistata dopo la grande mostra di Moore a Roma nel 1961; e sempre alla Biennale del 1948 venne presentato il bronzo di collezione Guggenheim esposto ora alle Terme; dall’Opera Santa Croce proviene una grande scultura degli anni Cinquanta di proprietà del British Institute di Firenze, così come dalla Fondazione Il Bisonte di Firenze – con cui Moore aveva a lungo collaborato per la produzione grafica – provengono tre piccole sculture e opere grafiche; una litografia è stata prestata dal Museo Collicola di Spoleto, città con cui Moore ebbe importanti legami, soprattutto per la partecipazione all’imporntate mostra Sculture nella città organizzata da Carandente nel 1962; infine dalla Pinacoteca di Brera proviene uno dei disegni dall’antico realizzati da Moore in occasione di un progetto di copie dai maestri italiani della collezione di Brera nel 1975. In più visto lo stretto rapporto intercorso tra Moore e Marino Marini, è stato esposto il ritratto in gesso di Moore realizzato dall’artista italiano e proveniente dal Museo del Novecento di Milano, come omaggio al maestro inglese. Per indagare e sottolineare i rapporti di Moore con l’Italia sono stati presentati in mostra anche tre documentari storici: uno in cui Moore ammira e descrive dal suo punto di vista la Pietà Rondanini di Michelangelo (RAI Teche), un secondo dedicato alla mostra di Spoleto del 1962, prestato dalla Biblioteca Carandente e infine un telegiornale Radar del 1972 sulla grande mostra di Firenze proveniente dall’Istituto Luce. Anche il catalogo è stato pensato sia per presentare il complesso e multiforme lavoro di Moore sia per ricostruire i rapporti di Moore con l’Italia: seguono, quindi, il saggio di Stephens sulla ricezione critica e il successo internazionale di Moore, quello di Salvagnini sulla diatriba surrealismo-astrattismo e su come Moore si sia mosso in entrambi i campi, il saggio di Negri sui disegni di guerra e quello di Silvia Bignami sulle sculture monumentali e pubbliche a partire dall’esempio della grande scultura proveniente dalla mostra di Firenze e poi collocata a Prato; il saggio a quattro mani Colombo-Zanchetti su Moore e l’Italia, e infine una doppia antologia critica e un’ampia biografia critica su Moore da parte di Colombo. Il saggio scritto a quattro mani con Giorgio Zanchetti (DC: Le Biennali di Venezia e Il Premio per la scultura del 1948; Moore e la scultura italiana degli anni quaranta-cinquanta; Scultura e incisione: tecnica “a levare”; GZ: The finest sculpture I met in Italy; Un paradigma del modernismo? Qualche esempio letterario; Di nuovo sugli antichi maestri) si concentra sul rapporto di Moore con l’Italia, stratificato e complesso, che spazia dall’ineludibile rivelazione del Rinascimento fiorentino e dei primitivi toscani, incontrati nel viaggio di studio del 1925, alle presenze d’avanguardia alla Biennale di Venezia – già nel 1930, ma soprattutto con l’affermazione internazionale del premio per la scultura nel 1948 – ai soggiorni in Versilia, dalla fine degli anni cinquanta, alla consacrazione delle grandi mostre di Roma (1961 e 1965), Spoleto (1962) e Firenze (1972), fino al ripensamento, ormai da testimone d’eccezione, sul Michelangelo della Pietà Rondanini e sul Donatello dei rilievi delle Storie di Sant’Antonio a Padova. Accompagnandolo in questo viaggio, non soltanto metaforico, attraverso la Penisola, è possibile individuare e chiarire i principali snodi della ricerca artistica di uno degli autori che meglio hanno saputo riflettere, nel Novecento, sulla tradizione e sul rinnovamento delle forme plastiche monumentali, attraverso e oltre l’astrazione. Nello specifico le parti scritte da Colombo hanno affrontato il nodo delle Biennali di Venezia e del panorama artistico inglese, italiano e internazionale degli anni Cinquanta. Sono state analizzate le partecipazioni di Moore alla e Biennali di Venezia (1930, 1948, 1952, 1954, 1962, 1964, 1972) soffermandosi soprattutto su quelle del secondo dopoguerra, grazie ai materiali d’archivio dell’ASAC che hanno portato alla luce materiali non noti o che hanno permesso di rettificare informazioni e considerazioni precedenti, e valutando la ricezione critica italiana e del suo lavoro e del premio per la scultura del 1948. Da qui si è valutata l’influenza di Moore sui giovani artisti inglesi – di cui si è ricostruita la fortuna critica in Italia a metà degli anni Cinquanta – e italiani (Cappello, Calò, Tavernari, Negri) e si è puntato uno sguardo più specifico sul rapporto con Marino Marini, frequentato soprattutto durante gli anni Sessanta. Inoltre, proponendo un parallelismo tra la scultura e l’incisione, entrambe tecniche a levare, sono state analizzate le sperimentazioni di Moore nell’ambito della grafica (in particlar modo anni Settanta) e sono stati ricostruito – anche qui tramite i documenti dell’Archivio della Fondazione Il Bisonte – i rapporti con Maria Luigia Guaita, proprietaria della Stamperia d’Arte Il Bisonte a Firenze. La Guaita fu, insieme a Carandente, fondamentale per l’organizzazione della grande mostra a Forte Belvedere a Firenze nel 1972 che sancì il definitivo successo internazionale di Moore. Il lavoro di studio e analisi si è basato su materiali di prima mano, in vari casi inediti, acquisiti attraverso un’attività di ricerca presso gli archivi dell’ASAC-Biennale di Venezia, Archivio Bioiconografico della GNAM di Roma, l’Archivio Storico della Fondazione Henraux di Querceta, l’Archivio Storico Generale del Comune di Prato, UNESCO Archives di Parigi, Biblioteca e Archivio Fotografico della GAM di Torino, La Fondazione IL Bisonte di Firenze, la Fondazione Marino Marini di Pistoia. Nel catalogo della mostra Henry Moore, oltre al saggio Moore sono state pubblicate da Davide Colombo anche una lunga e articolata biografia critica dell’artista e una doppia antologia critica di testi su Moore e di Moore. La prima antologia critica comprende una breve selezione di testi dedicati a Moore in Italia nel 1948 in occasione dell’assegnazione del Gran Premio Internazionale per la Scultura alla XXIV Biennale di Venezia, a partire proprio dal testo di Read pubblicato nel catalogo generale dell’esposizione e in quello personale edito dal British Council. La seconda antologia critica, invece, che comprende dodici testi di Moore sull’Italia e l’arte italiana (in gran arte in prima traduzione in italiano) è inserita all’interno della biografia critica a intervallare le vicende biografiche dell’artista. La lunga biografia critica narra della vita e della carriera di Moore, soffermandosi sui momenti e sulle opere più significative di cui viene offerta anche una breve analisi, ma soprattutto una contestualizzazione rispetto alla realtà storico-artistica inglese e internazionale, e alla fortuna espositiva, collezionistica e critica di Moore, senza dimenticare le differenti posizioni e letture che della sua ricerca sono state date nel corso del Novecento.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.