La tradizione del teatro musicale – vale a dire forme di rappresentazione in cui la musica sia applicata in modo organico all’espressione di vicende e di personaggi – nasce, se non del tutto certo in gran parte, da una volontà di distacco e di orgogliosa affermazione di casta. Così è a Parma, dove i due principali teatri che nascono nel corso del Seicento sono ascrivibili alla famiglia Farnese: il Teatro Grande, luogo dei festeggiamenti celebrativi della dinastia ducale, iniziato nel 1617 dal duca Ranuccio I per la prevista visita di Cosimo II de’ Medici, ma inaugurato più di dieci anni dopo in occasione delle nozze tra Odoardo Farnese, figlio di Ranuccio, e Margherita de’ Medici, figlia di Cosimo; e il Teatro Ducale, aperto a un pubblico non di ospiti di un evento festivo, ma di acquirenti di un prodotto spettacolare, e per ciò stesso rispondente a una logica di maggiore apertura sociale, che il duca Ranuccio II inaugura nel 1687 sull’onda del successo travolgente che tale innovazione, partita da Venezia cinquant’anni prima, sta riscuotendo ovunque. A Parma, in realtà, il teatro musicale ha origini documentate fin dall’inizio del ducato, alla metà del Cinquecento. Si tratta di una tradizione composita nella quale confluiscono i modi e gli umori della pratica spettacolare del torneo cavalleresco, del dramma pastorale, del balletto cortese, dell’intermedio ‘apparente’ (cantato, mimato e danzato). Con tutto ciò, la messa a punto di stili e procedure che infine porteranno alla nascita di un genere di musica teatrale in piena regola non si deve al solo ambito di stretta pertinenza aristocratica. In un gioco di rispecchiamento talvolta deformato e caricaturale, come indicano titoli e personaggi di alcuni spettacoli, due mondi si confrontano e si intrecciano. È quanto suggeriscono i numerosi esempi di teatro, connessi alla tradizione della commedia dell’arte, che sembrano fiorire con maggiore frequenza al di fuori della città e il cui godimento appare destinato sia a un pubblico di più modesta estrazione, che ne fruisce in luoghi aperti e comuni, sia, con opportuni adattamenti che ne impreziosiscono i contorni, a un pubblico eminente all’interno di residenze esclusive. Le forme, per quanto le definizioni possano essere precise in questi casi, sono quelle dell’intermedio e della commedia, entrambi in musica. Sarebbe dunque sbagliato ritenere che la pluralità di forme drammatico-musicali foriere del genere operistico fosse un fenomeno di strettissima ed esclusiva pertinenza cortese, come si sarebbe portati a credere tenendo conto delle sole fonti a stampa. La realtà, come essa emerge dalle preziose testimonianze ufficiose, dipinge invece un quadro assai più vario e complesso, fatto di scambi, di intrecci e di rispecchiamenti reciproci, piuttosto che di rigide demarcazioni di genere e di ambiente. Così è agli albori dell’opera in musica e così sarà negli anni in cui si passerà definitivamente dalla dimensione cerimoniale dell’intrattenimento di corte all’ambito pubblico e commerciale. >L’inizio ufficiale della tradizione propriamente teatrale è nel 1628 con i festeggiamenti per le nozze di Odoardo Farnese e Margherita de’ Medici: il 13 dicembre con la rappresentazione dell’Aminta, dramma pastorale di Torquato Tasso, preceduta dal prologo Teti, e Flora, su testo di Claudio Achillini, e intercalata da cinque intermedi ‘apparenti’, su testi di Ascanio Pio di Savoia. Tutti con musiche attribuite a Claudio Monteverdi. Il luogo è il teatro provvisorio costruito nel cortile del complesso della chiesa e del convento di San Pietro Martire, nell’area del Palazzo della Pilotta. Pochi giorni dopo, 21 dicembre, è la volta dell’evento principale: l’inaugurazione del “superbissimo Teatro di Parma”, situato al primo piano dello stesso Palazzo della Pilotta ed effimero anch’esso nelle intenzioni, con il sontuoso “torneo regale” Mercurio, e Marte, su versi di Claudio Achillini e con musiche ancora di Claudio Monteverdi. >Nei decenni succesivi, fino al 1732, i rarissimi spettacoli che il Teatro Grande ospita attestano, almeno nei casi che più si allontanano dalla ritualità cavalleresca o cortese, l’avvicinamento ai modi e allo stile del genere operistico, in quei decenni in rapida affermazione. Attraverso lo scambio di artefici e di competenze tra luoghi e ambiti diversi, viene maturando, quantomeno dalla metà del Seicento in poi, una pratica abbastanza diffusa di spettacoli drammatici in musica che affiancano gli eventi sporadici del Teatro Grande. In questo ambito di attività non più limitate ai fasti della corte, si inserisce il corso di rappresentazioni ricorrenti che fanno capo al “novissimo” teatro che nel dicembre 1687 si affianca al Teatro Grande: il Teatro Ducale. La circostanza è di straordinario valore simbolico e pratico, poiché incarna il passaggio dal vecchio spettacolo di corte a quello nuovo, di ispirazione implicitamente borghese e modellato sulla coeva esperienza veneziana. I due teatri procedono insieme ancora per qualche decennio, separati quanto a impostazione e finalità, ma non isolati nel contesto della città e del territorio, bensì come massime espressioni di un vero e proprio sistema teatrale, abbastanza variegato anche se in buona parte ancora riconducibile all’ambito ducale. Dal quarto decennio del Settecento, ormai in disuso il Teatro Grande, il Ducale resta il principale testimone della vita musicale della città. Nei suoi centoquarantuno anni di vita il teatro “pubblico” dei Farnese sarà via via testimone del trionfo dell’opera barocca italiana e dei suoi protagonisti, dei progetti di riforma importati dalla Francia in epoca Borbonica, dell’avvento dell’opera neoclassica e della irresistibile ascesa di Rossini nel primo Ottocento. Sarà proprio agli inizi del crepuscolo rossiniano che il vecchio teatro verrà posto in disarmo, lasciando il campo nel 1829 al Nuovo Teatro Ducale, l’attuale Teatro Regio, voluto dalla duchessa Maria Luigia d’Austria. In modo davvero sintomatico, il vecchio Ducale chiude con l’ultima opera italiana di Gioachino Rossini, Semiramide, che, nel suo guardare con nostalgia al mondo idealizzato e trasfigurato dell’opera barocca, ancora mantiene, nel tipo vocale del contralto en travesti, il ricordo del suo simbolo più suggestivo, la voce del cantante castrato. Per le scene di Parma, l’inaugurazione nel maggio del 1829 del Nuovo Teatro Ducale con La Zaira di Vincenzo Bellini coincide con l’avvento del gusto romantico per le situazioni forti e bizzarre, e per le vicende tragiche che bandiscono il consueto lieto fine, per concludersi con epiloghi né edificanti né consolatori. E significa la chiusura definitiva dell’esperienza rarefatta e metaforica; del mondo fantastico e prezioso; dell’edonismo che ostenta indifferenza alle ragioni del realismo dei personaggi, delle vicende e dei sentimenti; e, infine, dello stile di canto che connota quel mondo, fatto per suscitare l’ammirazione stupefatta dello spettatore, piuttosto che la sua partecipazione sentimentale. L’evento, tuttavia, rappresenta non solo il simbolico passaggio di consegne dall’opera di ispirazione neoclassica a quella romantica; ma anche il limite oltre il quale, in pochi anni, diverrà più evidente l’obsolescenza di un sistema teatrale nato e sviluppatosi in stretta dipendenza dalla corte ducale. Sotto il profilo artistico, l’apertura del teatro avviene in un’epoca di transizione fra due regni assoluti: quello di Rossini, dominatore incontrastato dell’opera europea nel secondo e terzo decennio del secolo, e quello di Verdi, che monopolizzerà la scena teatrale italiana nei decenni successivi. Il teatro è testimone di questo e di successivi cambiamenti: dall’apertura alle esperienze provenienti dall’estero (dalla Francia prima, dalla Germania poi) all’estrema evoluzione in senso realistico dell’opera italiana (Mascagni, Leoncavallo, Puccini fra gli altri), fino all’esaurimento dell’opera come genere vitale e alla sua trasformazione in bene culturale. Sotto il profilo istituzionale e organizzativo, il teatro, che muta il nome in Regio, vive il passaggio dall’epoca ducale a quella del nuovo stato nazionale e vede l’avvio della fase di altalenante interesse da parte della classe politico-amminustrativa che dura tuttora: dal disimpegno post-unitario al rinnovato interesse e alla progressiva assunzione in carico per buona parte del Novecento, fino al progressivo disimpegno degli anni più recenti. La fine del sistema teatrale basato sulle peculiarità locali, che era tipico degli Stati preunitari, nel nuovo secolo favorisce l’instaurarsi di una situazione più o meno omogenea in tutta Italia, in cui le novità, un tempo condizione essenziale per il teatro d’opera, cominciano a essere eventi eccezionali e si assiste al consolidamento di un ristretto repertorio di autori e titoli.
La musica in scena. Caratteri e vicende dal XVII al XXI secolo / Capra, Marco. - STAMPA. - (2013), pp. 195-307.
La musica in scena. Caratteri e vicende dal XVII al XXI secolo
CAPRA, Marco
2013-01-01
Abstract
La tradizione del teatro musicale – vale a dire forme di rappresentazione in cui la musica sia applicata in modo organico all’espressione di vicende e di personaggi – nasce, se non del tutto certo in gran parte, da una volontà di distacco e di orgogliosa affermazione di casta. Così è a Parma, dove i due principali teatri che nascono nel corso del Seicento sono ascrivibili alla famiglia Farnese: il Teatro Grande, luogo dei festeggiamenti celebrativi della dinastia ducale, iniziato nel 1617 dal duca Ranuccio I per la prevista visita di Cosimo II de’ Medici, ma inaugurato più di dieci anni dopo in occasione delle nozze tra Odoardo Farnese, figlio di Ranuccio, e Margherita de’ Medici, figlia di Cosimo; e il Teatro Ducale, aperto a un pubblico non di ospiti di un evento festivo, ma di acquirenti di un prodotto spettacolare, e per ciò stesso rispondente a una logica di maggiore apertura sociale, che il duca Ranuccio II inaugura nel 1687 sull’onda del successo travolgente che tale innovazione, partita da Venezia cinquant’anni prima, sta riscuotendo ovunque. A Parma, in realtà, il teatro musicale ha origini documentate fin dall’inizio del ducato, alla metà del Cinquecento. Si tratta di una tradizione composita nella quale confluiscono i modi e gli umori della pratica spettacolare del torneo cavalleresco, del dramma pastorale, del balletto cortese, dell’intermedio ‘apparente’ (cantato, mimato e danzato). Con tutto ciò, la messa a punto di stili e procedure che infine porteranno alla nascita di un genere di musica teatrale in piena regola non si deve al solo ambito di stretta pertinenza aristocratica. In un gioco di rispecchiamento talvolta deformato e caricaturale, come indicano titoli e personaggi di alcuni spettacoli, due mondi si confrontano e si intrecciano. È quanto suggeriscono i numerosi esempi di teatro, connessi alla tradizione della commedia dell’arte, che sembrano fiorire con maggiore frequenza al di fuori della città e il cui godimento appare destinato sia a un pubblico di più modesta estrazione, che ne fruisce in luoghi aperti e comuni, sia, con opportuni adattamenti che ne impreziosiscono i contorni, a un pubblico eminente all’interno di residenze esclusive. Le forme, per quanto le definizioni possano essere precise in questi casi, sono quelle dell’intermedio e della commedia, entrambi in musica. Sarebbe dunque sbagliato ritenere che la pluralità di forme drammatico-musicali foriere del genere operistico fosse un fenomeno di strettissima ed esclusiva pertinenza cortese, come si sarebbe portati a credere tenendo conto delle sole fonti a stampa. La realtà, come essa emerge dalle preziose testimonianze ufficiose, dipinge invece un quadro assai più vario e complesso, fatto di scambi, di intrecci e di rispecchiamenti reciproci, piuttosto che di rigide demarcazioni di genere e di ambiente. Così è agli albori dell’opera in musica e così sarà negli anni in cui si passerà definitivamente dalla dimensione cerimoniale dell’intrattenimento di corte all’ambito pubblico e commerciale. >L’inizio ufficiale della tradizione propriamente teatrale è nel 1628 con i festeggiamenti per le nozze di Odoardo Farnese e Margherita de’ Medici: il 13 dicembre con la rappresentazione dell’Aminta, dramma pastorale di Torquato Tasso, preceduta dal prologo Teti, e Flora, su testo di Claudio Achillini, e intercalata da cinque intermedi ‘apparenti’, su testi di Ascanio Pio di Savoia. Tutti con musiche attribuite a Claudio Monteverdi. Il luogo è il teatro provvisorio costruito nel cortile del complesso della chiesa e del convento di San Pietro Martire, nell’area del Palazzo della Pilotta. Pochi giorni dopo, 21 dicembre, è la volta dell’evento principale: l’inaugurazione del “superbissimo Teatro di Parma”, situato al primo piano dello stesso Palazzo della Pilotta ed effimero anch’esso nelle intenzioni, con il sontuoso “torneo regale” Mercurio, e Marte, su versi di Claudio Achillini e con musiche ancora di Claudio Monteverdi. >Nei decenni succesivi, fino al 1732, i rarissimi spettacoli che il Teatro Grande ospita attestano, almeno nei casi che più si allontanano dalla ritualità cavalleresca o cortese, l’avvicinamento ai modi e allo stile del genere operistico, in quei decenni in rapida affermazione. Attraverso lo scambio di artefici e di competenze tra luoghi e ambiti diversi, viene maturando, quantomeno dalla metà del Seicento in poi, una pratica abbastanza diffusa di spettacoli drammatici in musica che affiancano gli eventi sporadici del Teatro Grande. In questo ambito di attività non più limitate ai fasti della corte, si inserisce il corso di rappresentazioni ricorrenti che fanno capo al “novissimo” teatro che nel dicembre 1687 si affianca al Teatro Grande: il Teatro Ducale. La circostanza è di straordinario valore simbolico e pratico, poiché incarna il passaggio dal vecchio spettacolo di corte a quello nuovo, di ispirazione implicitamente borghese e modellato sulla coeva esperienza veneziana. I due teatri procedono insieme ancora per qualche decennio, separati quanto a impostazione e finalità, ma non isolati nel contesto della città e del territorio, bensì come massime espressioni di un vero e proprio sistema teatrale, abbastanza variegato anche se in buona parte ancora riconducibile all’ambito ducale. Dal quarto decennio del Settecento, ormai in disuso il Teatro Grande, il Ducale resta il principale testimone della vita musicale della città. Nei suoi centoquarantuno anni di vita il teatro “pubblico” dei Farnese sarà via via testimone del trionfo dell’opera barocca italiana e dei suoi protagonisti, dei progetti di riforma importati dalla Francia in epoca Borbonica, dell’avvento dell’opera neoclassica e della irresistibile ascesa di Rossini nel primo Ottocento. Sarà proprio agli inizi del crepuscolo rossiniano che il vecchio teatro verrà posto in disarmo, lasciando il campo nel 1829 al Nuovo Teatro Ducale, l’attuale Teatro Regio, voluto dalla duchessa Maria Luigia d’Austria. In modo davvero sintomatico, il vecchio Ducale chiude con l’ultima opera italiana di Gioachino Rossini, Semiramide, che, nel suo guardare con nostalgia al mondo idealizzato e trasfigurato dell’opera barocca, ancora mantiene, nel tipo vocale del contralto en travesti, il ricordo del suo simbolo più suggestivo, la voce del cantante castrato. Per le scene di Parma, l’inaugurazione nel maggio del 1829 del Nuovo Teatro Ducale con La Zaira di Vincenzo Bellini coincide con l’avvento del gusto romantico per le situazioni forti e bizzarre, e per le vicende tragiche che bandiscono il consueto lieto fine, per concludersi con epiloghi né edificanti né consolatori. E significa la chiusura definitiva dell’esperienza rarefatta e metaforica; del mondo fantastico e prezioso; dell’edonismo che ostenta indifferenza alle ragioni del realismo dei personaggi, delle vicende e dei sentimenti; e, infine, dello stile di canto che connota quel mondo, fatto per suscitare l’ammirazione stupefatta dello spettatore, piuttosto che la sua partecipazione sentimentale. L’evento, tuttavia, rappresenta non solo il simbolico passaggio di consegne dall’opera di ispirazione neoclassica a quella romantica; ma anche il limite oltre il quale, in pochi anni, diverrà più evidente l’obsolescenza di un sistema teatrale nato e sviluppatosi in stretta dipendenza dalla corte ducale. Sotto il profilo artistico, l’apertura del teatro avviene in un’epoca di transizione fra due regni assoluti: quello di Rossini, dominatore incontrastato dell’opera europea nel secondo e terzo decennio del secolo, e quello di Verdi, che monopolizzerà la scena teatrale italiana nei decenni successivi. Il teatro è testimone di questo e di successivi cambiamenti: dall’apertura alle esperienze provenienti dall’estero (dalla Francia prima, dalla Germania poi) all’estrema evoluzione in senso realistico dell’opera italiana (Mascagni, Leoncavallo, Puccini fra gli altri), fino all’esaurimento dell’opera come genere vitale e alla sua trasformazione in bene culturale. Sotto il profilo istituzionale e organizzativo, il teatro, che muta il nome in Regio, vive il passaggio dall’epoca ducale a quella del nuovo stato nazionale e vede l’avvio della fase di altalenante interesse da parte della classe politico-amminustrativa che dura tuttora: dal disimpegno post-unitario al rinnovato interesse e alla progressiva assunzione in carico per buona parte del Novecento, fino al progressivo disimpegno degli anni più recenti. La fine del sistema teatrale basato sulle peculiarità locali, che era tipico degli Stati preunitari, nel nuovo secolo favorisce l’instaurarsi di una situazione più o meno omogenea in tutta Italia, in cui le novità, un tempo condizione essenziale per il teatro d’opera, cominciano a essere eventi eccezionali e si assiste al consolidamento di un ristretto repertorio di autori e titoli.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.