ABSTRACT Il mantello della legge. Male captum, bene retentum e dottrina del “ritrovamento inevitabile” in una recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo (2010) L’articolo commenta la sentenza Gafgen c. Germania, assunta dalla V sezione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo nel 2009. Nel caso annotato, la Corte di Strasburgo ritorna sull’annoso tema delle dichiarazioni confessorie rese dall’imputato nel corso di un interrogatorio di polizia «irrituale» perché reso in un contesto di violenza e intimidazione. Benché i fatti abbiano avuto luogo in Germania, come si vedrà, le decisioni assunte dai giudici di quel Paese sono allineate rispetto a quanto sarebbe presumibilmente accaduto, nel medesimo caso, anche in Italia. Una volta ricostruiti i passaggi argomentativi della sentenza della Corte di Strasburgo rispetto alle doglianze del ricorrente relative a presunte violazioni degli art. 3 (divieto della tortura) e 6 (diritto ad un processo equo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, se ne evidenzieranno le incongruenze, peraltro apertamente sottolineate in un’autorevole opinione dissenziente. Si muove infine, nell’ottica dell’auspicabile superamento del principio male captum bene retentum, alla ricerca di una soluzione più liberale e garantista, ispirata alla teoria statunitense dei «frutti dell’albero avvelenato» ed alla significativa eccezione nel caso del cosiddetto «ritrovamento inevitabile» (inevitabile discovery).
Il mantello della legge. Male captum, bene retentum e dottrina del "ritrovamento inevitabile" in una recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo / Maffei, Stefano. - II:(2010), pp. 349-368.
Il mantello della legge. Male captum, bene retentum e dottrina del "ritrovamento inevitabile" in una recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo
MAFFEI, Stefano
2010-01-01
Abstract
ABSTRACT Il mantello della legge. Male captum, bene retentum e dottrina del “ritrovamento inevitabile” in una recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo (2010) L’articolo commenta la sentenza Gafgen c. Germania, assunta dalla V sezione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo nel 2009. Nel caso annotato, la Corte di Strasburgo ritorna sull’annoso tema delle dichiarazioni confessorie rese dall’imputato nel corso di un interrogatorio di polizia «irrituale» perché reso in un contesto di violenza e intimidazione. Benché i fatti abbiano avuto luogo in Germania, come si vedrà, le decisioni assunte dai giudici di quel Paese sono allineate rispetto a quanto sarebbe presumibilmente accaduto, nel medesimo caso, anche in Italia. Una volta ricostruiti i passaggi argomentativi della sentenza della Corte di Strasburgo rispetto alle doglianze del ricorrente relative a presunte violazioni degli art. 3 (divieto della tortura) e 6 (diritto ad un processo equo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, se ne evidenzieranno le incongruenze, peraltro apertamente sottolineate in un’autorevole opinione dissenziente. Si muove infine, nell’ottica dell’auspicabile superamento del principio male captum bene retentum, alla ricerca di una soluzione più liberale e garantista, ispirata alla teoria statunitense dei «frutti dell’albero avvelenato» ed alla significativa eccezione nel caso del cosiddetto «ritrovamento inevitabile» (inevitabile discovery).File | Dimensione | Formato | |
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