Nel commento alla norma introduttiva del d.l.vo 231/2001, viene innanzitutto preso in considerazione il ruolo avuto dagli atti internazionali nella scelta del legislatore italiano di introdurre la responsabilità da reato degli enti. Grande spazio ed approfondimento è poi dedicato alla controversa natura della responsabilità degli enti. Viene considerata dapprima la tesi secondo cui la responsabilità degli enti dipendente da reato avrebbe natura amministrativa, poi quella secondo cui avrebbe natura penale ed infine la preferibile tesi intermedia, secondo cui la responsabilità degli enti dipendente da reato avrebbe una natura ibrida e configurerebbe un tertium genus di responsabilità con prevalenza dei caratteri di una responsabilità penale misti a caratteri propri della responsabilità amministrativa. In ogni caso si sottolinea come i caratteri preponderantemente penali di questa forma ibrida di responsabilità debbano essere tenuti in debita considerazione dagli interpreti e dallo stesso legislatore e debbano indurre a riconoscere valore vincolante, anche in questo ambito di responsabilità, ai principi costituzionali espressi per la materia penale. Segnatamente: sul piano sostanziale il principio di legalità, di cui all'art. 25, 2° co., Cost. e il principio di colpevolezza di cui all'art. 27 Cost.; sul piano processuale il principio del giusto processo, di cui all'art. 111 Cost. e il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, di cui all'art. 112 Cost. Si espongono e si analizzano anche le diverse questioni di rilevanza pratica involte dalla soluzione della questione relativa alla natura della responsabilità degli enti. Il lavoro si dedica poi alla specifica individuazione degli enti destinatari della normativa. Viene considerato in modo dettagliato quali enti siano invece esclusi dall’applicazione del d.l.vo 231/2001. Si segnala che viene dedicato uno specifico spazio di approfondimento all’applicabilità del d.l.vo 231/2001 agli enti ecclesiastici, sia a quelli cattolici, sia a quelli appartenenti ad altre confessioni religiose, diverse dalla cattolica. Riguardo ai primi si afferma che, laddove si possano riconoscere in capo ai singoli enti ecclesiastici (Curia, Parrocchia, Congregazioni religiose, ecc.) tutti i caratteri propri degli enti ai sensi del d.lg. n. 231/2001 (ossia un interesse dell'ente distinguibile da quello della persona fisica che compie il reato, una organizzazione che lo distingua dalla persona fisica che compie l'atto, un patrimonio ad esso riconducibile) non vi siano ragioni per escluderli dall’applicabilità della disciplina in esame. Le finalità religiose, sebbene di alto rilievo costituzionale, non sono infatti prese in considerazione dal decreto legislativo quale parametro per escludere l’applicazione dello stesso. Una precisazione viene fatta però in relazione alla Santa Sede, espressione di sintesi che indica, secondo il codice canonico (can. 361 c. dir. can.), «non solo il Romano Pontefice, ma anche, se non risulta diversamente dalla natura della questione o del contesto, la Segreteria di Stato, il Consiglio degli affari pubblici della Chiesa e gli altri Organismi della Curia Romana». A questi enti ecclesiastici è stata riconosciuta personalità giuridica, per antico possesso di stato, ossia perché godevano dello status di persona giuridica prima della formazione dello Stato unitario. Essendo tuttavia la Santa Sede anche un soggetto di diritto internazionale, gli enti centrali della stessa si sostiene assumano, all'interno di questo «ordinamento straniero», una natura pubblicistica. Questa duplice natura – enti di diritto privato per l’ordinamento interno, enti di natura pubblicistica per l'ordinamento dello Stato Pontificio – spinge a far ritenere che gli enti centrali della Santa Sede siano comunque esclusi dall'applicazione della disciplina della responsabilità degli enti da reato. La natura di «ente pubblico di uno Stato estero» giustifica in questo caso l'esclusione, così come avviene in ogni altro caso di ente pubblico straniero. Analoghe considerazioni vengono svolte per gli enti appartenenti ad altre confessioni religiose, diverse dalla cattolica. Vengono infine espresse le ragioni per cui debba ritenersi applicabile la disciplina anche agli enti di diritto straniero.
Art. 1 - Soggetti / Delsignore, Stefano. - (2010), pp. 63-89.
Art. 1 - Soggetti
DELSIGNORE, Stefano
2010-01-01
Abstract
Nel commento alla norma introduttiva del d.l.vo 231/2001, viene innanzitutto preso in considerazione il ruolo avuto dagli atti internazionali nella scelta del legislatore italiano di introdurre la responsabilità da reato degli enti. Grande spazio ed approfondimento è poi dedicato alla controversa natura della responsabilità degli enti. Viene considerata dapprima la tesi secondo cui la responsabilità degli enti dipendente da reato avrebbe natura amministrativa, poi quella secondo cui avrebbe natura penale ed infine la preferibile tesi intermedia, secondo cui la responsabilità degli enti dipendente da reato avrebbe una natura ibrida e configurerebbe un tertium genus di responsabilità con prevalenza dei caratteri di una responsabilità penale misti a caratteri propri della responsabilità amministrativa. In ogni caso si sottolinea come i caratteri preponderantemente penali di questa forma ibrida di responsabilità debbano essere tenuti in debita considerazione dagli interpreti e dallo stesso legislatore e debbano indurre a riconoscere valore vincolante, anche in questo ambito di responsabilità, ai principi costituzionali espressi per la materia penale. Segnatamente: sul piano sostanziale il principio di legalità, di cui all'art. 25, 2° co., Cost. e il principio di colpevolezza di cui all'art. 27 Cost.; sul piano processuale il principio del giusto processo, di cui all'art. 111 Cost. e il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, di cui all'art. 112 Cost. Si espongono e si analizzano anche le diverse questioni di rilevanza pratica involte dalla soluzione della questione relativa alla natura della responsabilità degli enti. Il lavoro si dedica poi alla specifica individuazione degli enti destinatari della normativa. Viene considerato in modo dettagliato quali enti siano invece esclusi dall’applicazione del d.l.vo 231/2001. Si segnala che viene dedicato uno specifico spazio di approfondimento all’applicabilità del d.l.vo 231/2001 agli enti ecclesiastici, sia a quelli cattolici, sia a quelli appartenenti ad altre confessioni religiose, diverse dalla cattolica. Riguardo ai primi si afferma che, laddove si possano riconoscere in capo ai singoli enti ecclesiastici (Curia, Parrocchia, Congregazioni religiose, ecc.) tutti i caratteri propri degli enti ai sensi del d.lg. n. 231/2001 (ossia un interesse dell'ente distinguibile da quello della persona fisica che compie il reato, una organizzazione che lo distingua dalla persona fisica che compie l'atto, un patrimonio ad esso riconducibile) non vi siano ragioni per escluderli dall’applicabilità della disciplina in esame. Le finalità religiose, sebbene di alto rilievo costituzionale, non sono infatti prese in considerazione dal decreto legislativo quale parametro per escludere l’applicazione dello stesso. Una precisazione viene fatta però in relazione alla Santa Sede, espressione di sintesi che indica, secondo il codice canonico (can. 361 c. dir. can.), «non solo il Romano Pontefice, ma anche, se non risulta diversamente dalla natura della questione o del contesto, la Segreteria di Stato, il Consiglio degli affari pubblici della Chiesa e gli altri Organismi della Curia Romana». A questi enti ecclesiastici è stata riconosciuta personalità giuridica, per antico possesso di stato, ossia perché godevano dello status di persona giuridica prima della formazione dello Stato unitario. Essendo tuttavia la Santa Sede anche un soggetto di diritto internazionale, gli enti centrali della stessa si sostiene assumano, all'interno di questo «ordinamento straniero», una natura pubblicistica. Questa duplice natura – enti di diritto privato per l’ordinamento interno, enti di natura pubblicistica per l'ordinamento dello Stato Pontificio – spinge a far ritenere che gli enti centrali della Santa Sede siano comunque esclusi dall'applicazione della disciplina della responsabilità degli enti da reato. La natura di «ente pubblico di uno Stato estero» giustifica in questo caso l'esclusione, così come avviene in ogni altro caso di ente pubblico straniero. Analoghe considerazioni vengono svolte per gli enti appartenenti ad altre confessioni religiose, diverse dalla cattolica. Vengono infine espresse le ragioni per cui debba ritenersi applicabile la disciplina anche agli enti di diritto straniero.File | Dimensione | Formato | |
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