L’architettura in rovina è stata impiegata in pittura e nella grafica dagli artisti del Rinascimento in associazione con svariati significati simbolici o come espediente per mostrare parti altrimenti invisibili dell’edificio rappresentato. Dopo un breve excursus sulla rara casistica di architetture volutamente realizzate come se fossero diroccate in età rinascimentale e barocca, lo studio si concentra sulle ragioni per le quali, a partire dal Settecento, si assiste a una improvvisa diffusione del fenomeno, soprattutto nell’ambito dei giardini paesaggistici, ma non solo. In parallelo al fenomeno dell’editoria specializzata in rilievi pittoreschi e topografici di rovine del mondo classico, il gusto per la rovina si estende in ambito occidentale, sfruttando ove possibile edifici diruti già esistenti, oppure simulandoli ad arte, talvolta con particolare acribia filologica. Soltanto ricorrendo all’intreccio con le fonti estetiche, letterarie e filosofiche coeve si riesce però a recuperare il senso profondo di questo fenomeno, in parte già osteggiato al suo tempo, che sarebbe limitativo ridurre alla sfera del gusto e delle mode giardinistiche. Il ventaglio di insegnamenti che le rovine possono impartire sembrano infatti dispiegarsi considerevolmente nel secolo dei Lumi, al passo con la mutata concezione dell’arte e della sua funzione nella società: dalle tradizionali accezioni che rinviano alla precarietà dell’agire umano, si giunge per gradi alle allegorie politiche di Volnay, basate – quasi in un cortocircuito – proprio sulle incisioni dei ruderi di Palmira pubblicate, tra le prime del loro genere, nel 1753 da Robert Wood.
Ruina docet. Le false rovine e il loro insegnamento nel corso dell’età moderna / Mambriani, Carlo. - 2:(2007), pp. 561-572.
Ruina docet. Le false rovine e il loro insegnamento nel corso dell’età moderna
MAMBRIANI, Carlo
2007-01-01
Abstract
L’architettura in rovina è stata impiegata in pittura e nella grafica dagli artisti del Rinascimento in associazione con svariati significati simbolici o come espediente per mostrare parti altrimenti invisibili dell’edificio rappresentato. Dopo un breve excursus sulla rara casistica di architetture volutamente realizzate come se fossero diroccate in età rinascimentale e barocca, lo studio si concentra sulle ragioni per le quali, a partire dal Settecento, si assiste a una improvvisa diffusione del fenomeno, soprattutto nell’ambito dei giardini paesaggistici, ma non solo. In parallelo al fenomeno dell’editoria specializzata in rilievi pittoreschi e topografici di rovine del mondo classico, il gusto per la rovina si estende in ambito occidentale, sfruttando ove possibile edifici diruti già esistenti, oppure simulandoli ad arte, talvolta con particolare acribia filologica. Soltanto ricorrendo all’intreccio con le fonti estetiche, letterarie e filosofiche coeve si riesce però a recuperare il senso profondo di questo fenomeno, in parte già osteggiato al suo tempo, che sarebbe limitativo ridurre alla sfera del gusto e delle mode giardinistiche. Il ventaglio di insegnamenti che le rovine possono impartire sembrano infatti dispiegarsi considerevolmente nel secolo dei Lumi, al passo con la mutata concezione dell’arte e della sua funzione nella società: dalle tradizionali accezioni che rinviano alla precarietà dell’agire umano, si giunge per gradi alle allegorie politiche di Volnay, basate – quasi in un cortocircuito – proprio sulle incisioni dei ruderi di Palmira pubblicate, tra le prime del loro genere, nel 1753 da Robert Wood.File | Dimensione | Formato | |
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