I contatti di Giulio Romano con Reggio Emilia risalgono almeno al 1529, quando il famoso orologiaio reggiano Cherubino Parlari (alias Sforzani) e i suoi fratelli realizzarono alcuni orologi per Federico II Gonzaga su suo disegno. Sicura è la presenza di Giulio Romano in un’opera di grande interesse qual è la torre ottagonale di San Prospero, che sostituì la precedente distrutta nel 1526. L’11 gennaio 1535 Leonardo, Alberto e Roberto Pacchioni, costruttori locali, vennero incaricati di costruire la nuova torre della basilica, secondo un modello a loro fornito dai prefetti della fabbrica. È molto importante, per chi insegue le orme di Giulio, che il 29 maggio 1536 si sia perfezionato il contratto di fornitura delle pietre veronesi per il basamento della nuova torre con il tagliapietre mantovano Giovannino Fontanella, ben noto a Giulio Romano, anzi suo assiduo collaboratore, come appare da molte note di spese di quegli anni firmate dallo stesso Pippi. Il Fontanella venne pagato il 14 agosto successivo per 226 pezzi di marmo veronese per il basamento della torre. Secondo il diario di famiglia del notaio reggiano Bonfrancesco Arlotti, si cominciò a fondare la torre il 27 settembre 1536 e a murarla il 12 ottobre 1537. Finalmente il 21 e 22 novembre 1538, Alberto Pacchioni e due soprastanti alla fabbrica vennero spesati “per vittura di cavallo di andar a Mantua, per consiglio de la torre, da messer Iulio Romano”. Non è probabile si tratti di una “consulenza”, come sosteneva prudentemente Manfredo Tafuri, ma di quesiti precisi da parte dei costruttori al progettista per intervenuti problemi di cantiere nel delicato momento di uscita dal terreno sulle fondazioni, quando si manifestarono difficoltà a far concrescere la struttura laterizia e il rivestimento in pietra, come avvertiva Sebastiano Serlio nel suo libro quarto Regole Generali di Architettura, uscito per primo nell’anno precedente, il 1537 (cc. 188v e 189r). L’impostazione generale della torre, insolitamente ottagona come quella ateniese dei Venti, la sicurezza nel trattamento dell’ordine architettonico e quelle nicchie con arzigogolate conchiglie che trovano precisi riscontri in opere sicure del maestro, non dovrebbero lasciare dubbi sulla paternità giuliesca Inoltre il motivo a greca nel basamento e il fregio undato ai lati delle conchiglie nelle nicchie dell’ordine dorico riportano al primo Cinquecento romano, ad Antonio da Sangallo il Giovane e appunto a Giulio. Anche il fregio pulvinato nella trabeazione ionica rimanda all’intorno di Raffaello.
GIULIO ROMANO E LA TORRE DI SAN PROSPERO A REGGIO EMILIA / Adorni, Bruno. - (2006), pp. 13-75.
GIULIO ROMANO E LA TORRE DI SAN PROSPERO A REGGIO EMILIA
ADORNI, Bruno
2006-01-01
Abstract
I contatti di Giulio Romano con Reggio Emilia risalgono almeno al 1529, quando il famoso orologiaio reggiano Cherubino Parlari (alias Sforzani) e i suoi fratelli realizzarono alcuni orologi per Federico II Gonzaga su suo disegno. Sicura è la presenza di Giulio Romano in un’opera di grande interesse qual è la torre ottagonale di San Prospero, che sostituì la precedente distrutta nel 1526. L’11 gennaio 1535 Leonardo, Alberto e Roberto Pacchioni, costruttori locali, vennero incaricati di costruire la nuova torre della basilica, secondo un modello a loro fornito dai prefetti della fabbrica. È molto importante, per chi insegue le orme di Giulio, che il 29 maggio 1536 si sia perfezionato il contratto di fornitura delle pietre veronesi per il basamento della nuova torre con il tagliapietre mantovano Giovannino Fontanella, ben noto a Giulio Romano, anzi suo assiduo collaboratore, come appare da molte note di spese di quegli anni firmate dallo stesso Pippi. Il Fontanella venne pagato il 14 agosto successivo per 226 pezzi di marmo veronese per il basamento della torre. Secondo il diario di famiglia del notaio reggiano Bonfrancesco Arlotti, si cominciò a fondare la torre il 27 settembre 1536 e a murarla il 12 ottobre 1537. Finalmente il 21 e 22 novembre 1538, Alberto Pacchioni e due soprastanti alla fabbrica vennero spesati “per vittura di cavallo di andar a Mantua, per consiglio de la torre, da messer Iulio Romano”. Non è probabile si tratti di una “consulenza”, come sosteneva prudentemente Manfredo Tafuri, ma di quesiti precisi da parte dei costruttori al progettista per intervenuti problemi di cantiere nel delicato momento di uscita dal terreno sulle fondazioni, quando si manifestarono difficoltà a far concrescere la struttura laterizia e il rivestimento in pietra, come avvertiva Sebastiano Serlio nel suo libro quarto Regole Generali di Architettura, uscito per primo nell’anno precedente, il 1537 (cc. 188v e 189r). L’impostazione generale della torre, insolitamente ottagona come quella ateniese dei Venti, la sicurezza nel trattamento dell’ordine architettonico e quelle nicchie con arzigogolate conchiglie che trovano precisi riscontri in opere sicure del maestro, non dovrebbero lasciare dubbi sulla paternità giuliesca Inoltre il motivo a greca nel basamento e il fregio undato ai lati delle conchiglie nelle nicchie dell’ordine dorico riportano al primo Cinquecento romano, ad Antonio da Sangallo il Giovane e appunto a Giulio. Anche il fregio pulvinato nella trabeazione ionica rimanda all’intorno di Raffaello.File | Dimensione | Formato | |
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