Abstract La condizione della donna tra protezione e divieto di discriminazione I primi strumenti di diritto internazionale che si occupano di condizione femminile erano volti a proteggere un soggetto che appariva debole sotto molti punti di vista: fisico, intellettivo, intellettuale e morale. Si spiegano così i trattati a tutela della donna conclusi nell’ambito dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro che intendono preservare le donne (e eventualmente il nascituro, in caso di donne incinte) da attività pericolose, insalubri o che le espongono a rischi per la morale (si pensi ai divieti di lavoro notturno). Altresì si spiegano i trattati volti a prevenire e eliminare il traffico di donne noto come “tratta delle bianche” conclusi all’inizio del secolo scorso. La più recente Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento dell’altrui prostituzione del 1950, pur applicandosi ai soggetti di entrambi i sessi, maggiorenni o minorenni, è tuttora considerata come uno strumento che tutela specificatamente le donne. Anche in questo trattato, tuttavia, scarso rilievo è dato alla volontà della donna e ancora forte è l’impronta moralistica che rischia di trasformare le misure di protezione in limitazioni della libertà delle donne stesse (libertà di movimento, libertà di disporre del proprio corpo ecc.). La tutela “rafforzata” attribuita da taluni trattati alle donne, d’altra parte, non può tradursi in misura ingiustificatamente discriminatoria nei confronti degli uomini. Si deve alle Nazioni Unite una sterminata produzione di strumenti di soft law a tutela dei diritti umani delle donne, nonché la promozione di numerose iniziative con il medesimo scopo (es. le Conferenze mondiali) e il patrocinio di alcune convenzioni che affrontano specifici problemi (diritti politici, nazionalità delle donne coniugate, età del consenso al matrimonio). Già con la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 l’Assemblea Generale dell’Organizzazione aveva sancito in maniera inequivocabile l’uguaglianza in dignità e diritti di uomini e donne. Nonostante questo, però, l’esigenza di limitare la discriminazione tra i due sessi è tuttora assai sentita a livello internazionale così che una disposizione che vieta tale discriminazione è costantemente inserita nei trattati sui diritti umani. Una specifica Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro la donna è stata adottata nel 1979 e completata, nel 1999 da un Protocollo facoltativo che amplia i poteri di controllo del Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro la donna (CEDAW). Nonostante la grande partecipazione degli Stati a tale Convenzione, la sua efficacia risulta tuttora minata per le difficoltà economiche o culturali che le Parti incontrano nella sua applicazione o per la loro mancanza di volontà a dare piena attuazione alle sue disposizioni che trova spesso riscontro nelle riserve che gli Stati stessi hanno formulato al momento della ratifica della Convenzione. Anche il CEDAW, nonostante le nuove competenze attribuitegli dal Protocollo, tra le quali spicca la possibilità di essere adito dalle vittime di violazioni della Convenzioni, non ha poteri vincolanti. Davanti a queste inefficienze sarebbe opportuno che gli Stati più avanzati nella protezione dei diritti umani delle donne e più sensibili alle loro precipue esigenze predisponessero, quanto meno in casi specifici, dei meccanismi alternativi (es. ampliamento dei titoli di giurisdizione penale, concessione di asilo per motivi umanitari) che consentano di proteggere effettivamente i diritti delle donne sottoposte alla loro giurisdizione.
La condizione della donna tra protezione e divieto di discriminazione / Maffei, Maria Clara. - 1:(2006), pp. 173-202.
La condizione della donna tra protezione e divieto di discriminazione
MAFFEI, Maria Clara
2006-01-01
Abstract
Abstract La condizione della donna tra protezione e divieto di discriminazione I primi strumenti di diritto internazionale che si occupano di condizione femminile erano volti a proteggere un soggetto che appariva debole sotto molti punti di vista: fisico, intellettivo, intellettuale e morale. Si spiegano così i trattati a tutela della donna conclusi nell’ambito dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro che intendono preservare le donne (e eventualmente il nascituro, in caso di donne incinte) da attività pericolose, insalubri o che le espongono a rischi per la morale (si pensi ai divieti di lavoro notturno). Altresì si spiegano i trattati volti a prevenire e eliminare il traffico di donne noto come “tratta delle bianche” conclusi all’inizio del secolo scorso. La più recente Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento dell’altrui prostituzione del 1950, pur applicandosi ai soggetti di entrambi i sessi, maggiorenni o minorenni, è tuttora considerata come uno strumento che tutela specificatamente le donne. Anche in questo trattato, tuttavia, scarso rilievo è dato alla volontà della donna e ancora forte è l’impronta moralistica che rischia di trasformare le misure di protezione in limitazioni della libertà delle donne stesse (libertà di movimento, libertà di disporre del proprio corpo ecc.). La tutela “rafforzata” attribuita da taluni trattati alle donne, d’altra parte, non può tradursi in misura ingiustificatamente discriminatoria nei confronti degli uomini. Si deve alle Nazioni Unite una sterminata produzione di strumenti di soft law a tutela dei diritti umani delle donne, nonché la promozione di numerose iniziative con il medesimo scopo (es. le Conferenze mondiali) e il patrocinio di alcune convenzioni che affrontano specifici problemi (diritti politici, nazionalità delle donne coniugate, età del consenso al matrimonio). Già con la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 l’Assemblea Generale dell’Organizzazione aveva sancito in maniera inequivocabile l’uguaglianza in dignità e diritti di uomini e donne. Nonostante questo, però, l’esigenza di limitare la discriminazione tra i due sessi è tuttora assai sentita a livello internazionale così che una disposizione che vieta tale discriminazione è costantemente inserita nei trattati sui diritti umani. Una specifica Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro la donna è stata adottata nel 1979 e completata, nel 1999 da un Protocollo facoltativo che amplia i poteri di controllo del Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro la donna (CEDAW). Nonostante la grande partecipazione degli Stati a tale Convenzione, la sua efficacia risulta tuttora minata per le difficoltà economiche o culturali che le Parti incontrano nella sua applicazione o per la loro mancanza di volontà a dare piena attuazione alle sue disposizioni che trova spesso riscontro nelle riserve che gli Stati stessi hanno formulato al momento della ratifica della Convenzione. Anche il CEDAW, nonostante le nuove competenze attribuitegli dal Protocollo, tra le quali spicca la possibilità di essere adito dalle vittime di violazioni della Convenzioni, non ha poteri vincolanti. Davanti a queste inefficienze sarebbe opportuno che gli Stati più avanzati nella protezione dei diritti umani delle donne e più sensibili alle loro precipue esigenze predisponessero, quanto meno in casi specifici, dei meccanismi alternativi (es. ampliamento dei titoli di giurisdizione penale, concessione di asilo per motivi umanitari) che consentano di proteggere effettivamente i diritti delle donne sottoposte alla loro giurisdizione.File | Dimensione | Formato | |
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