Nel 1583 Filippo Mocenigo, patrizio veneziano, cugino di doge e ultimo arcivescovo di Nicosia prima della conquista turca di Cipro viene processato per eresia dal Sant’Ufficio. A partire da questo processo e da altri che coinvolsero vescovi italiani e francesi la ricerca si pone un interrogativo: chi giudica un vescovo nella Chiesa del ‘500? Il libro ricostruisce così i passaggi e i conflitti attraverso i quali Inquisizione e papato si contesero tale diritto. Vengono ricostruiti i modi – le norme, ma anche i discorsi e i comportamenti – per mezzo dei quali nel secondo Cinquecento il Sant’Ufficio riuscì a imporsi sul piano istituzionale e ideologico come supremo tribunale della fede in autonomia dallo stesso pontefice. Emerge così il processo d’affermazione della congregazione cardinalizia come centro di potere autonomo in grado di controllare le carriere ecclesiastiche per mezzo dell’accusa d’eresia, capace di condizionare logiche d’intervento e obiettivi della politica papale a livello europeo e di porsi come custode dell’unica ideologia che, in nome dell’esigenza di tutela della fede, poteva contrastare l’assolutismo dei principi cattolici. Laddove, poi, le posizioni del pontefice tendevano a divergere dalla linea dell’Inquisizione, quest’ultima non esitò a porre il problema di chi entro la Chiesa dovesse giudicare il vicario di Cristo: il sospetto d’eresia formulato persino nei confronti del pontefice regnante divenne perciò un potenziale strumento della lotta politica all’interno della Chiesa nelle mani del Sant’Ufficio. Il libro è anche una storia di spazi di libertà che si chiudono e delle trasformazioni con cui dovettero confrontarsi vescovi umanisti formatisi nel clima culturale degli anni trenta-quaranta, che avevano condiviso l’esperienza dei dibattiti tridentini prendendo coscienza del proprio ruolo entro la Chiesa. Essi sono qui presentati come i protagonisti di una grave crisi generazionale, piuttosto che come i diligenti esecutori delle riforme tridentine nelle loro diocesi delineati da una secolare tradizione storiografica apologeticamente volta alla mitizzazione del concilio. In 1583 Filippo Mocenigo - a Venetian patrician, cousin of the Doge and the last archbishop of Nicosia (Cyprus) before the Turkish conquest of the island - was trialed for heresy by the Holy Office. This trial, together with the stories of other French and Italian bishops prosecuted for heresy examined in the book, suggests some questions: who should judge a bishop? Who should define orthodoxy? The book shed light on the conflicting positions and struggles that divided the leadership of the church in order to answer to these questions. How an accusation of heresy against a bishop came to be handled between the papacy and Inquisition offers in fact crucial evidence for evaluating the effective articulation of power at the highest levels of the church. In this perspective, the Inquisition reveals itself as an institution that held the power to pretend to define orthodoxy even against the pope. Furthermore, most of the post-Tridentine bishops prosecuted for heresy belonged to a generation of bishops who had participated at the council, drawing from it the awareness of their role within the church; of humanist-educated churchmen that had formed themselves in the 1530s and 1540s, before the repressive turning of the 1550s estabilished new boundaries between what one could or could not write and reconfigured the limits of learned discussions. The book present them as the witnesses to a generational crisis despite a long tradition of studies mainly focused on them as the zealous pastors that implemented the decrees of the council of Trent in their dioceses.

Giudicare i vescovi. La definizione dei poteri nella Chiesa postridentina / Bonora, Elena. - (2007), pp. 1-345.

Giudicare i vescovi. La definizione dei poteri nella Chiesa postridentina

BONORA, Elena
2007-01-01

Abstract

Nel 1583 Filippo Mocenigo, patrizio veneziano, cugino di doge e ultimo arcivescovo di Nicosia prima della conquista turca di Cipro viene processato per eresia dal Sant’Ufficio. A partire da questo processo e da altri che coinvolsero vescovi italiani e francesi la ricerca si pone un interrogativo: chi giudica un vescovo nella Chiesa del ‘500? Il libro ricostruisce così i passaggi e i conflitti attraverso i quali Inquisizione e papato si contesero tale diritto. Vengono ricostruiti i modi – le norme, ma anche i discorsi e i comportamenti – per mezzo dei quali nel secondo Cinquecento il Sant’Ufficio riuscì a imporsi sul piano istituzionale e ideologico come supremo tribunale della fede in autonomia dallo stesso pontefice. Emerge così il processo d’affermazione della congregazione cardinalizia come centro di potere autonomo in grado di controllare le carriere ecclesiastiche per mezzo dell’accusa d’eresia, capace di condizionare logiche d’intervento e obiettivi della politica papale a livello europeo e di porsi come custode dell’unica ideologia che, in nome dell’esigenza di tutela della fede, poteva contrastare l’assolutismo dei principi cattolici. Laddove, poi, le posizioni del pontefice tendevano a divergere dalla linea dell’Inquisizione, quest’ultima non esitò a porre il problema di chi entro la Chiesa dovesse giudicare il vicario di Cristo: il sospetto d’eresia formulato persino nei confronti del pontefice regnante divenne perciò un potenziale strumento della lotta politica all’interno della Chiesa nelle mani del Sant’Ufficio. Il libro è anche una storia di spazi di libertà che si chiudono e delle trasformazioni con cui dovettero confrontarsi vescovi umanisti formatisi nel clima culturale degli anni trenta-quaranta, che avevano condiviso l’esperienza dei dibattiti tridentini prendendo coscienza del proprio ruolo entro la Chiesa. Essi sono qui presentati come i protagonisti di una grave crisi generazionale, piuttosto che come i diligenti esecutori delle riforme tridentine nelle loro diocesi delineati da una secolare tradizione storiografica apologeticamente volta alla mitizzazione del concilio. In 1583 Filippo Mocenigo - a Venetian patrician, cousin of the Doge and the last archbishop of Nicosia (Cyprus) before the Turkish conquest of the island - was trialed for heresy by the Holy Office. This trial, together with the stories of other French and Italian bishops prosecuted for heresy examined in the book, suggests some questions: who should judge a bishop? Who should define orthodoxy? The book shed light on the conflicting positions and struggles that divided the leadership of the church in order to answer to these questions. How an accusation of heresy against a bishop came to be handled between the papacy and Inquisition offers in fact crucial evidence for evaluating the effective articulation of power at the highest levels of the church. In this perspective, the Inquisition reveals itself as an institution that held the power to pretend to define orthodoxy even against the pope. Furthermore, most of the post-Tridentine bishops prosecuted for heresy belonged to a generation of bishops who had participated at the council, drawing from it the awareness of their role within the church; of humanist-educated churchmen that had formed themselves in the 1530s and 1540s, before the repressive turning of the 1550s estabilished new boundaries between what one could or could not write and reconfigured the limits of learned discussions. The book present them as the witnesses to a generational crisis despite a long tradition of studies mainly focused on them as the zealous pastors that implemented the decrees of the council of Trent in their dioceses.
2007
9788842082606
Giudicare i vescovi. La definizione dei poteri nella Chiesa postridentina / Bonora, Elena. - (2007), pp. 1-345.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11381/1502978
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