Uno studioso di economia aziendale solitamente si dedica all’analisi degli andamenti economico e finanziari delle imprese, allo studio delle problematiche gestionali ed organizzative che le caratterizzano in relazione, ad esempio, al tipo di attività svolta (aziende industriali, commerciali, aziende di servizi bancari), alla natura del soggetto economico (aziende pubbliche o private) o, ancora, alla prevalenza di obiettivi economico finanziari piuttosto che sociali (aziende profit e aziende non-profit), soffermandosi su particolari aspetti e approfondendo la sua analisi in una prospettiva esplicativa e/o normativa. Può tuttavia accadere che il suo interesse di ricerca sia rivolto non solo all’oggetto di studio dell’economia aziendale (l’azienda) ma anche all’analisi dei contenuti, degli strumenti e della metodologia propri della sua scienza. Se tale analisi viene poi condotta in una prospettiva storica ed anche comparativa, allora è possibile capire i cambiamenti subiti dalla stessa in quasi un secolo di vita, fino a delineare un processo evolutivo degli studi di economia aziendale. Tra i vari incontri che la comunità scientifica promuove annualmente da tempo per discutere sulle problematiche più interessanti ed attuali delle unità economico aziendali, se ne individuano due dedicati, in particolare, alla scienza economico aziendale; il primo svoltosi presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche a Roma nel 1985 “L’economia aziendale: contenuti, specificità e ruolo d’oggi”, l’altro tenutosi a Palermo nel 1996 e dedicato a “Le metodologie della ricerca nelle discipline economico-aziendali fra tradizione e nuove tendenze”. L’attuale quadro di riferimento, oltre a problematiche di tipo istituzionale (la Riforma Universitaria, la ricerca ed i finanziamenti ad essa dedicati, le offerte formative delle varie istituzioni), presenta le seguenti connotazioni: 1) una crescente domanda di cultura economico aziendale e manageriale proveniente non solo dalle imprese, ma anche dalle pubbliche amministrazioni, dalle professioni e dalle aziende non profit; 2) un’offerta di cultura economico aziendale caratterizzata da vecchi e nuovi attori (economisti d’azienda, ingegneri gestionali, economisti, centri di ricerca); 3) una accelerazione dei processi di internazionalizzazione delle relazioni scientifiche. Prende spunto da queste riflessioni il presente lavoro che non vuole essere una trattazione completa e definitiva sull’argomento ma piuttosto un’analisi delle tendenze delle scienze economico aziendali a partire dai consistenti cambiamenti dell’oggetto di studio delle stesse. L’obiettivo è quello di capire «dove stia andando l’economia aziendale» e, quindi, di fornire spunti di riflessione al lettore e allo studioso che si ferma, forse smarrito, ad osservare la “sua” scienza. Si parte, perciò, dai primi decenni del XX secolo richiamando succintamente gli eventi economico sociali che hanno portato alla nascita della economia aziendale come scienza, ad opera di uno studioso di notevoli capacità intuitive e di critica quale era Gino Zappa, un gigante del pensiero economico. Il contesto storico di riferimento fa ben comprendere l’esigenza di individuare un tessuto di principi e metodi autonomi rispetto a quelli delle altre discipline sociali, e aventi una preminente prospettiva di analisi delle unità aziendali, quella economica. Lo studio è quindi concentrato sui fenomeni che caratterizzano la realtà delle aziende e sulle relazioni che intercorrono tra gli stessi, sugli andamenti di variabili di specie oggettiva come variazioni di esercizio, valori di scambio, flussi finanziari e della produzione, astraendoli, tuttavia, dalla sfera più ampia che comprende anche variabili di tipo soggettivo. Gli studi condotti in questo periodo sono «studi classici» di economia aziendale che risulta pertanto avere le connotazioni di una scienza di andamenti e di relative uniformità di movimento. Procedendo in una prospettiva di tipo storico, e dopo un’analisi del processo di consolidamento dei nuovi studi, si mettono in evidenza le motivazioni per cui, a partire dalla metà del ‘900, gli economisti d’azienda estendono i propri orizzonti dirigendosi verso un approccio soggettivo, con la consapevolezza dell’insufficienza teorica della figura dell’homo oeconomicus. Non più di scienza di andamenti si può parlare, ma di scienza di comportamenti. Arrivando, quindi, agli ultimi decenni del secolo fino al presente, è possibile individuare due processi di sviluppo dell’economia aziendale: un processo di approfondimento degli studi e un processo di ampliamento a favore di aspetti poco considerati dall’impostazione classica. Il primo si concretizza in una ricerca della “specializzazione” da parte degli studiosi, ossia una certa propensione a dedicarsi a problemi riguardanti specifici aspetti della vita delle aziende, con l’obiettivo di acquisire una solida base conoscitiva sul tema scelto proponendo efficaci risposte a questioni che possono sorgere. In questo senso, gli studi italiani subiscono l’’influenza degli studi di management propri dei paesi anglosassoni, i quali si distinguono per l’evidente carattere pragmatico degli scopi che si propongono di raggiungere. L’ampliamento del campo di indagine con l’integrazione di teorie, metodi e tecniche propri di altri contesti scientifici delinea la tendenza degli studi di economia aziendale verso l’interdisciplinarità. Questa si concretizza, da un lato, in una integrazione delle conoscenze degli economisti d’azienda con tutte quelle utili, di matrice sociale, psicologica, sociologica, giuridica o economica; dall’altro, in un interscambio di metodi e tecniche proprie di discipline come la matematica, la statistica, con lo scopo di migliorare le conoscenze delle problematiche aziendali e di definire concreti modelli applicabili per la soluzione delle stesse. La ricerca continua con particolare attenzione alla problematica della quantificazione negli studi economico aziendali, problematica sempre centrale in queste discipline, ma ancor più critica in tempi in cui l’aspetto immateriale, intangibile, della gestione risulta essere determinante. Negli ultimi decenni, infatti, l’accentuarsi della rilevanza strategica assunta dalle risorse intangibili (o invisibili) ha indotto sforzi verso la traduzione delle stesse in espressione quantitativa, sia per motivi di controllo interno, sia per motivi di comunicazione verso l’esterno. Sempre in prospettiva storica, rispetto a tale problematica, gli studiosi di economia aziendale si muovono principalmente lungo due direzioni: quella della rilevazione contabile a bilancio delle quantità/valori, segnatamente per la determinazione dei risultati di periodo, e quella della quantificazione di condizioni della gestione aziendale (prevalentemente intangibili e riferite, in particolare, al capitale umano) difficilmente osservabili mediante rilevazioni contabili. Questa nuova prospettiva di analisi rappresenta, soprattutto nell’ultimo decennio, un terreno molto battuto da studiosi che si occupano di problematiche economico aziendali; i contributi più significativi al riguardo arrivano da oltre oceano e dal nord Europa. Negli ultimi anni sono sorte anche in Italia unità di ricerca dedicate alla tematica del patrimonio intangibile con l’obiettivo di affrontare il tema della loro quantificazione o valutazione; purtroppo, tuttavia, non è compiutamente ancora chiarito il concetto di “risorsa intangibile”. Infatti, non mancano certo studi su problemi di definizione e valutazione delle risorse immateriali come i brevetti, i marchi, l’avviamento o i diritti d’autore. Il concetto di intangible è riferito a qualcosa di ancor più immateriale, come la conoscenza, l’esperienza dei dirigenti e del personale che opera a livelli più bassi, la fiducia e la soddisfazione dei clienti, il capitale intellettuale e quant’altro costituisca “capitale umano”.

Gli studi economico-aziendali. Riflessioni sui metodi quantitativi / Balluchi, Federica. - (2005), pp. 1-136.

Gli studi economico-aziendali. Riflessioni sui metodi quantitativi

BALLUCHI, Federica
2005-01-01

Abstract

Uno studioso di economia aziendale solitamente si dedica all’analisi degli andamenti economico e finanziari delle imprese, allo studio delle problematiche gestionali ed organizzative che le caratterizzano in relazione, ad esempio, al tipo di attività svolta (aziende industriali, commerciali, aziende di servizi bancari), alla natura del soggetto economico (aziende pubbliche o private) o, ancora, alla prevalenza di obiettivi economico finanziari piuttosto che sociali (aziende profit e aziende non-profit), soffermandosi su particolari aspetti e approfondendo la sua analisi in una prospettiva esplicativa e/o normativa. Può tuttavia accadere che il suo interesse di ricerca sia rivolto non solo all’oggetto di studio dell’economia aziendale (l’azienda) ma anche all’analisi dei contenuti, degli strumenti e della metodologia propri della sua scienza. Se tale analisi viene poi condotta in una prospettiva storica ed anche comparativa, allora è possibile capire i cambiamenti subiti dalla stessa in quasi un secolo di vita, fino a delineare un processo evolutivo degli studi di economia aziendale. Tra i vari incontri che la comunità scientifica promuove annualmente da tempo per discutere sulle problematiche più interessanti ed attuali delle unità economico aziendali, se ne individuano due dedicati, in particolare, alla scienza economico aziendale; il primo svoltosi presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche a Roma nel 1985 “L’economia aziendale: contenuti, specificità e ruolo d’oggi”, l’altro tenutosi a Palermo nel 1996 e dedicato a “Le metodologie della ricerca nelle discipline economico-aziendali fra tradizione e nuove tendenze”. L’attuale quadro di riferimento, oltre a problematiche di tipo istituzionale (la Riforma Universitaria, la ricerca ed i finanziamenti ad essa dedicati, le offerte formative delle varie istituzioni), presenta le seguenti connotazioni: 1) una crescente domanda di cultura economico aziendale e manageriale proveniente non solo dalle imprese, ma anche dalle pubbliche amministrazioni, dalle professioni e dalle aziende non profit; 2) un’offerta di cultura economico aziendale caratterizzata da vecchi e nuovi attori (economisti d’azienda, ingegneri gestionali, economisti, centri di ricerca); 3) una accelerazione dei processi di internazionalizzazione delle relazioni scientifiche. Prende spunto da queste riflessioni il presente lavoro che non vuole essere una trattazione completa e definitiva sull’argomento ma piuttosto un’analisi delle tendenze delle scienze economico aziendali a partire dai consistenti cambiamenti dell’oggetto di studio delle stesse. L’obiettivo è quello di capire «dove stia andando l’economia aziendale» e, quindi, di fornire spunti di riflessione al lettore e allo studioso che si ferma, forse smarrito, ad osservare la “sua” scienza. Si parte, perciò, dai primi decenni del XX secolo richiamando succintamente gli eventi economico sociali che hanno portato alla nascita della economia aziendale come scienza, ad opera di uno studioso di notevoli capacità intuitive e di critica quale era Gino Zappa, un gigante del pensiero economico. Il contesto storico di riferimento fa ben comprendere l’esigenza di individuare un tessuto di principi e metodi autonomi rispetto a quelli delle altre discipline sociali, e aventi una preminente prospettiva di analisi delle unità aziendali, quella economica. Lo studio è quindi concentrato sui fenomeni che caratterizzano la realtà delle aziende e sulle relazioni che intercorrono tra gli stessi, sugli andamenti di variabili di specie oggettiva come variazioni di esercizio, valori di scambio, flussi finanziari e della produzione, astraendoli, tuttavia, dalla sfera più ampia che comprende anche variabili di tipo soggettivo. Gli studi condotti in questo periodo sono «studi classici» di economia aziendale che risulta pertanto avere le connotazioni di una scienza di andamenti e di relative uniformità di movimento. Procedendo in una prospettiva di tipo storico, e dopo un’analisi del processo di consolidamento dei nuovi studi, si mettono in evidenza le motivazioni per cui, a partire dalla metà del ‘900, gli economisti d’azienda estendono i propri orizzonti dirigendosi verso un approccio soggettivo, con la consapevolezza dell’insufficienza teorica della figura dell’homo oeconomicus. Non più di scienza di andamenti si può parlare, ma di scienza di comportamenti. Arrivando, quindi, agli ultimi decenni del secolo fino al presente, è possibile individuare due processi di sviluppo dell’economia aziendale: un processo di approfondimento degli studi e un processo di ampliamento a favore di aspetti poco considerati dall’impostazione classica. Il primo si concretizza in una ricerca della “specializzazione” da parte degli studiosi, ossia una certa propensione a dedicarsi a problemi riguardanti specifici aspetti della vita delle aziende, con l’obiettivo di acquisire una solida base conoscitiva sul tema scelto proponendo efficaci risposte a questioni che possono sorgere. In questo senso, gli studi italiani subiscono l’’influenza degli studi di management propri dei paesi anglosassoni, i quali si distinguono per l’evidente carattere pragmatico degli scopi che si propongono di raggiungere. L’ampliamento del campo di indagine con l’integrazione di teorie, metodi e tecniche propri di altri contesti scientifici delinea la tendenza degli studi di economia aziendale verso l’interdisciplinarità. Questa si concretizza, da un lato, in una integrazione delle conoscenze degli economisti d’azienda con tutte quelle utili, di matrice sociale, psicologica, sociologica, giuridica o economica; dall’altro, in un interscambio di metodi e tecniche proprie di discipline come la matematica, la statistica, con lo scopo di migliorare le conoscenze delle problematiche aziendali e di definire concreti modelli applicabili per la soluzione delle stesse. La ricerca continua con particolare attenzione alla problematica della quantificazione negli studi economico aziendali, problematica sempre centrale in queste discipline, ma ancor più critica in tempi in cui l’aspetto immateriale, intangibile, della gestione risulta essere determinante. Negli ultimi decenni, infatti, l’accentuarsi della rilevanza strategica assunta dalle risorse intangibili (o invisibili) ha indotto sforzi verso la traduzione delle stesse in espressione quantitativa, sia per motivi di controllo interno, sia per motivi di comunicazione verso l’esterno. Sempre in prospettiva storica, rispetto a tale problematica, gli studiosi di economia aziendale si muovono principalmente lungo due direzioni: quella della rilevazione contabile a bilancio delle quantità/valori, segnatamente per la determinazione dei risultati di periodo, e quella della quantificazione di condizioni della gestione aziendale (prevalentemente intangibili e riferite, in particolare, al capitale umano) difficilmente osservabili mediante rilevazioni contabili. Questa nuova prospettiva di analisi rappresenta, soprattutto nell’ultimo decennio, un terreno molto battuto da studiosi che si occupano di problematiche economico aziendali; i contributi più significativi al riguardo arrivano da oltre oceano e dal nord Europa. Negli ultimi anni sono sorte anche in Italia unità di ricerca dedicate alla tematica del patrimonio intangibile con l’obiettivo di affrontare il tema della loro quantificazione o valutazione; purtroppo, tuttavia, non è compiutamente ancora chiarito il concetto di “risorsa intangibile”. Infatti, non mancano certo studi su problemi di definizione e valutazione delle risorse immateriali come i brevetti, i marchi, l’avviamento o i diritti d’autore. Il concetto di intangible è riferito a qualcosa di ancor più immateriale, come la conoscenza, l’esperienza dei dirigenti e del personale che opera a livelli più bassi, la fiducia e la soddisfazione dei clienti, il capitale intellettuale e quant’altro costituisca “capitale umano”.
2005
9788814118586
Gli studi economico-aziendali. Riflessioni sui metodi quantitativi / Balluchi, Federica. - (2005), pp. 1-136.
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