Al centro dell'indagine è il problema posto dall'inutile scadenza del termine essenziale, la quale, rendendo il risultato perseguito dal creditore insuscettibile di raggiungimento, parrebbe implicare il venire meno della relazione tra situazione di interesse e creditore, con la conseguente estinzione dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta. Due sono le questioni poste, a tale riguardo, dall'articolo 1457 c.c.: quella della "notizia" che, se data entro tre giorni dalla scadenza del termine, consente al creditore di esigere ugualmente l'esecuzione della prestazione; e quella dell'adempimento posteriore anche al decorso dei tre giorni, comunemente ammesso dalla giurisprudenza. In entrambe le ipotesi, come può reputarsi rilevante l'adempimento di una prestazione divenuta impossibile? Sotto il vigore dell’abrogato codice di commercio, un’attenta dottrina osservava che quantunque, in linea generale, il termine fosse da considerarsi essenziale quando l’adempimento risultava impossibile successivamente alla scadenza del tempo stabilito, il tenore dell’art. 69 cod. comm. - il quale, nella vendita di cosa mobile, consentiva l’adempimento successivamente alla scadenza del termine essenziale - doveva fare senz’altro riferimento ad una essenzialità di tipo diverso, superabile dalla volontà delle parti anche dopo la scadenza del termine. Palesando l’incoerenza della pretesa eseguibilità di una prestazione impossibile, tale dottrina ha dischiuso la via per l’indagine e la soluzione di questioni che nel codice civile del 1942 sono rimaste insolute. Due sono le strade che oggi consentirebbero di superare tale incoerenza. La prima, seguendo la dottrina sopra richiamata, porterebbe ad individuare l’unica forma di essenzialità idonea a consentire un adempimento tardivo in quella superabile dalla volontà delle parti anche dopo la scadenza del termine. La seconda, attraverso un’analisi esegetica dell’art. 1457 c.c., potrebbe condurre a giustificare altrimenti l’adempimento posteriore alla scadenza del termine. Sovente la giurisprudenza reputa che la parte, nel cui interesse il termine sia da considerare essenziale, decorsi i tre giorni di cui all’art. 1457 c.c. possa rinunciare “all’essenzialità del termine”, ovvero “all’effetto risolutivo”, vuoi attuando un contegno tollerante, vuoi prorogando il termine. Rinuncia “all’essenzialità” e rinuncia “all’effetto risolutivo” sono formule fungibili, le quali consentono di accordare tutela al creditore che giudichi maggiormente conforme ai propri interessi ottenere la esecuzione del contratto, anziché avvalersi della risoluzione di diritto. Parte della dottrina ha criticato codesto orientamento, escludendo la possibilità di richiamare in vita un rapporto oramai risoluto: decorsi tre giorni dalla scadenza del termine, l’adempimento tardivo sarebbe rilevante o reputandosi sempre applicabile la disciplina della clausola risolutiva espressa qualora non si verifichi la totale perdita di utilità economica della prestazione, o nel caso in cui l'inadempimento risulti di scarsa importanza ai sensi dell'art. 1455 c.c., ovvero, ancora, se le parti provvedano alla stipulazione di un altro contratto “per relationem a quello risoluto”. Secondo un ulteriore orientamento, la prestazione potrebbe essere tardivamente eseguita anche in presenza di un “patto o uso”, il quale consenta l'adempimento anche in assenza della dichiarazione creditoria entro tre giorni dalla scadenza del termine. Ma forse, ad una più attenta meditazione, è possibile giungere a soluzioni diverse. In ogni caso la questione appare inscindibilmente legata agli interrogativi, cui l’affermazione di una generica rinunciabilità all’effetto risolutivo o all’essenzialità del termine dà luogo, e presuppone la soluzione di questi. Rinuncia all’essenzialità del termine e rinuncia all’effetto risolutivo sono davvero formule fungibili? La inclusione, operata dalla giurisprudenza dominante, della proroga e della tolleranza tra i fatti da cui dovrebbe dedursi la rinuncia del creditore all’essenzialità del termine o all’effetto risolutivo desta più di qualche perplessità. Sembra, infatti, difficilmente ammissibile la configurazione di una proroga o di una dilazione, così come di una tolleranza del creditore, posteriori al decorso di un termine essenziale (o, meglio, ai tre giorni successivi a tale decorso). La tolleranza implica sempre un ritardo del debitore; e tanto la proroga, quanto la dilazione, possono intervenire anche una volta decorso il termine originariamente stabilito. In ciascuna di queste ipotesi, tuttavia, occorre che il titolo descrittivo del contegno debitorio conservi una parziale rilevanza: in ogni caso di tolleranza, proroga o dilazione, all’adempimento medio tempore del debitore corrisponde una soluti retentio e la irripetibilità di quanto prestato. Diversamente, l’inutile decorso del termine essenziale (e dei tre giorni successivi) esclude qualsiasi possibilità di proroga o dilazione, così come ogni ipotesi di tolleranza del creditore: il contratto, che in origine assurgeva a titolo descrittivo del contegno debitorio, risulta sprovvisto di capacità predicativa e rimane puro testo, contenente soggetti determinati e modi e tempi dell’agire di questi, oramai privi di rilevanza per l’ordinamento giuridico. Come non può ammettersi la proroga (o la dilazione) di un termine essenziale scaduto, allo stesso modo deve negarsi la rinunciabilità, da parte del creditore, all’effetto risolutivo o all’essenzialità del termine. È da escludere la rinuncia all’effetto risolutivo, perché la rinuncia riguarda soltanto la parte ipotetica della norma, ossia la fattispecie; in altri termini, è possibile rinunciare all’effetto giuridico stabilito da una norma soltanto quando il contenuto di esso sia previsto come contenuto della fattispecie da una norma diversa: ma non v’è alcun effetto risolutivo, contemplato nella parte ipotetica di norme differenti dall’art. 1457 c.c., alla cui rinuncia segua la possibilità di un adempimento tardivo (ad esempio, l'eventuale rinuncia del creditore a ripetere, ai sensi dell'art. 2033 c.c., la prestazione già eseguita, non legittimerebbe il debitore inadempiente ad eseguire tardivamente la prestazione soggetta a termine essenziale). È da escludere la rinuncia all’essenzialità del termine, perché il venir meno della essenzialità comporta una modificazione del contenuto relativo al rapporto obbligatorio: la rinuncia, al contrario, determinando soltanto la disgiunzione del diritto di credito dal proprio titolare, implica sempre l’integrità del rapporto. Si potrebbe ipotizzare, tuttavia, che il creditore non rinunci all’effetto risolutivo, ma rinunci a porre in essere un fatto (domanda giudiziale di risoluzione; eccezione di risoluzione) dal quale sorge il dovere del giudice di pronunciare una sentenza che dichiari il rapporto risoluto; e che il creditore, posteriormente al decorso dei tre giorni successivi alla scadenza del termine essenziale, non rinunci all’essenzialità del termine, ma rinunci a porre in essere un elemento della fattispecie risolutiva, di modo che la fattispecie non venga in essere. Sotto il profilo processuale, si darebbe luogo ad una rinuncia all’azione (o all’eccezione) di risoluzione, estinguente il rapporto processuale di risoluzione. Sotto il profilo sostanziale, si configurerebbe una rinuncia alla qualifica “risoluto”, assegnata dall’art. 1457 c.c. al rapporto giuridico: la rinuncia darebbe luogo ad un fatto impeditivo, capace di sottrarre al contratto, il cui termine essenziale sia scaduto, il valore di fattispecie risolutiva. Se l’accoglimento della prima ipotesi è precluso dalla circostanza che la risoluzione deve essere rilevata d’ufficio dal giudice (il quale è tenuto ad accertare la rilevanza o l’irrilevanza del titolo sul quale ciascuna parte fonda la propria domanda), la seconda ipotesi potrebbe ammettersi soltanto ove la rinuncia all’essenzialità del termine, così come anche la proroga la dilazione o la tolleranza posteriori al decorso dello stesso, fossero suscettibili di essere intese quali contegni delle parti, la cui valutazione consenta di risalire ad una comune intenzione che, confrontata con il testo contrattuale, lasci desumere l’inessenzialità del termine originariamente fissato. Ed è proprio questa la strada percorsa nel testo. Un discorso a parte è dedicato alla questione posta dalla richiesta di adempimento, che sia formulata dal creditore entro tre giorni dalla scadenza del termine. Decorso il termine essenziale, il contratto conserva rilevanza per ulteriori tre giorni; la sua efficacia, però, è sospensivamente condizionata alla dichiarazione del creditore. La “notizia”, di cui all'art. 1457 c.c., è fatto condizionante l’efficacia del titolo originario: essa consente di sciogliere l’incertezza in ordine alla permanenza dell’interesse in capo al creditore e di rimuovere lo stato di pendenza del rapporto; in assenza della “notizia”, il titolo originario rimarrà definitivamente inefficace. La mora del debitore si atteggerà diversamente in relazione al contenuto della dichiarazione creditoria; ove la “notizia” includa in sé la pretesa, il debitore sarà costituito in mora con la notizia medesima; ove la “notizia” sia disgiunta dalla pretesa, il rapporto risulterà prorogato ed il debitore soltanto al momento dell’esercizio della pretesa sarà costituito in mora (oppure alla scadenza del nuovo termine, nelle ipotesi di mora ex re). Fino al momento in cui il creditore emette la “notizia” il contratto è inefficace e la prestazione ripetibile, ma a diverse conclusioni si deve pervenire ove il creditore accetti la prestazione eseguita entro i tre giorni: l’accettazione implica la volontà che la prestazione, sia pure tardivamente, venga eseguita; al pari della “notizia”, l’accettazione rivela l’interesse del creditore alla esecuzione della prestazione. In due ipotesi, peraltro, la prestazione risulta inesigibile anche entro i tre giorni successivi all’inadempimento: quella in cui l’essenzialità del termine sia stabilita direttamente dal tipo legale scelto dalle parti; e quella in cui vi siano un patto od un uso che alla inesigibilità facciano riferimento. Con particolare riguardo alla prima ipotesi, la “notizia” inciderebbe a tal punto sul titolo, da impedirne la sussumibilità entro l’originario tipo normativo; dunque essa assumerebbe efficacia costitutiva: ma sembra da escludere che l’ordinamento consenta la costituzione di nuovi rapporti a seguito di dichiarazioni di una parte disgiunte da atti unilaterali dell’altra parte, almeno ove esse determinino effetti sfavorevoli in capo a chi non abbia partecipato alla formazione del rapporto.

Termine essenziale e adempimento tardivo / Proto, Massimo. - (2004), pp. VII-216.

Termine essenziale e adempimento tardivo

PROTO, Massimo
2004-01-01

Abstract

Al centro dell'indagine è il problema posto dall'inutile scadenza del termine essenziale, la quale, rendendo il risultato perseguito dal creditore insuscettibile di raggiungimento, parrebbe implicare il venire meno della relazione tra situazione di interesse e creditore, con la conseguente estinzione dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta. Due sono le questioni poste, a tale riguardo, dall'articolo 1457 c.c.: quella della "notizia" che, se data entro tre giorni dalla scadenza del termine, consente al creditore di esigere ugualmente l'esecuzione della prestazione; e quella dell'adempimento posteriore anche al decorso dei tre giorni, comunemente ammesso dalla giurisprudenza. In entrambe le ipotesi, come può reputarsi rilevante l'adempimento di una prestazione divenuta impossibile? Sotto il vigore dell’abrogato codice di commercio, un’attenta dottrina osservava che quantunque, in linea generale, il termine fosse da considerarsi essenziale quando l’adempimento risultava impossibile successivamente alla scadenza del tempo stabilito, il tenore dell’art. 69 cod. comm. - il quale, nella vendita di cosa mobile, consentiva l’adempimento successivamente alla scadenza del termine essenziale - doveva fare senz’altro riferimento ad una essenzialità di tipo diverso, superabile dalla volontà delle parti anche dopo la scadenza del termine. Palesando l’incoerenza della pretesa eseguibilità di una prestazione impossibile, tale dottrina ha dischiuso la via per l’indagine e la soluzione di questioni che nel codice civile del 1942 sono rimaste insolute. Due sono le strade che oggi consentirebbero di superare tale incoerenza. La prima, seguendo la dottrina sopra richiamata, porterebbe ad individuare l’unica forma di essenzialità idonea a consentire un adempimento tardivo in quella superabile dalla volontà delle parti anche dopo la scadenza del termine. La seconda, attraverso un’analisi esegetica dell’art. 1457 c.c., potrebbe condurre a giustificare altrimenti l’adempimento posteriore alla scadenza del termine. Sovente la giurisprudenza reputa che la parte, nel cui interesse il termine sia da considerare essenziale, decorsi i tre giorni di cui all’art. 1457 c.c. possa rinunciare “all’essenzialità del termine”, ovvero “all’effetto risolutivo”, vuoi attuando un contegno tollerante, vuoi prorogando il termine. Rinuncia “all’essenzialità” e rinuncia “all’effetto risolutivo” sono formule fungibili, le quali consentono di accordare tutela al creditore che giudichi maggiormente conforme ai propri interessi ottenere la esecuzione del contratto, anziché avvalersi della risoluzione di diritto. Parte della dottrina ha criticato codesto orientamento, escludendo la possibilità di richiamare in vita un rapporto oramai risoluto: decorsi tre giorni dalla scadenza del termine, l’adempimento tardivo sarebbe rilevante o reputandosi sempre applicabile la disciplina della clausola risolutiva espressa qualora non si verifichi la totale perdita di utilità economica della prestazione, o nel caso in cui l'inadempimento risulti di scarsa importanza ai sensi dell'art. 1455 c.c., ovvero, ancora, se le parti provvedano alla stipulazione di un altro contratto “per relationem a quello risoluto”. Secondo un ulteriore orientamento, la prestazione potrebbe essere tardivamente eseguita anche in presenza di un “patto o uso”, il quale consenta l'adempimento anche in assenza della dichiarazione creditoria entro tre giorni dalla scadenza del termine. Ma forse, ad una più attenta meditazione, è possibile giungere a soluzioni diverse. In ogni caso la questione appare inscindibilmente legata agli interrogativi, cui l’affermazione di una generica rinunciabilità all’effetto risolutivo o all’essenzialità del termine dà luogo, e presuppone la soluzione di questi. Rinuncia all’essenzialità del termine e rinuncia all’effetto risolutivo sono davvero formule fungibili? La inclusione, operata dalla giurisprudenza dominante, della proroga e della tolleranza tra i fatti da cui dovrebbe dedursi la rinuncia del creditore all’essenzialità del termine o all’effetto risolutivo desta più di qualche perplessità. Sembra, infatti, difficilmente ammissibile la configurazione di una proroga o di una dilazione, così come di una tolleranza del creditore, posteriori al decorso di un termine essenziale (o, meglio, ai tre giorni successivi a tale decorso). La tolleranza implica sempre un ritardo del debitore; e tanto la proroga, quanto la dilazione, possono intervenire anche una volta decorso il termine originariamente stabilito. In ciascuna di queste ipotesi, tuttavia, occorre che il titolo descrittivo del contegno debitorio conservi una parziale rilevanza: in ogni caso di tolleranza, proroga o dilazione, all’adempimento medio tempore del debitore corrisponde una soluti retentio e la irripetibilità di quanto prestato. Diversamente, l’inutile decorso del termine essenziale (e dei tre giorni successivi) esclude qualsiasi possibilità di proroga o dilazione, così come ogni ipotesi di tolleranza del creditore: il contratto, che in origine assurgeva a titolo descrittivo del contegno debitorio, risulta sprovvisto di capacità predicativa e rimane puro testo, contenente soggetti determinati e modi e tempi dell’agire di questi, oramai privi di rilevanza per l’ordinamento giuridico. Come non può ammettersi la proroga (o la dilazione) di un termine essenziale scaduto, allo stesso modo deve negarsi la rinunciabilità, da parte del creditore, all’effetto risolutivo o all’essenzialità del termine. È da escludere la rinuncia all’effetto risolutivo, perché la rinuncia riguarda soltanto la parte ipotetica della norma, ossia la fattispecie; in altri termini, è possibile rinunciare all’effetto giuridico stabilito da una norma soltanto quando il contenuto di esso sia previsto come contenuto della fattispecie da una norma diversa: ma non v’è alcun effetto risolutivo, contemplato nella parte ipotetica di norme differenti dall’art. 1457 c.c., alla cui rinuncia segua la possibilità di un adempimento tardivo (ad esempio, l'eventuale rinuncia del creditore a ripetere, ai sensi dell'art. 2033 c.c., la prestazione già eseguita, non legittimerebbe il debitore inadempiente ad eseguire tardivamente la prestazione soggetta a termine essenziale). È da escludere la rinuncia all’essenzialità del termine, perché il venir meno della essenzialità comporta una modificazione del contenuto relativo al rapporto obbligatorio: la rinuncia, al contrario, determinando soltanto la disgiunzione del diritto di credito dal proprio titolare, implica sempre l’integrità del rapporto. Si potrebbe ipotizzare, tuttavia, che il creditore non rinunci all’effetto risolutivo, ma rinunci a porre in essere un fatto (domanda giudiziale di risoluzione; eccezione di risoluzione) dal quale sorge il dovere del giudice di pronunciare una sentenza che dichiari il rapporto risoluto; e che il creditore, posteriormente al decorso dei tre giorni successivi alla scadenza del termine essenziale, non rinunci all’essenzialità del termine, ma rinunci a porre in essere un elemento della fattispecie risolutiva, di modo che la fattispecie non venga in essere. Sotto il profilo processuale, si darebbe luogo ad una rinuncia all’azione (o all’eccezione) di risoluzione, estinguente il rapporto processuale di risoluzione. Sotto il profilo sostanziale, si configurerebbe una rinuncia alla qualifica “risoluto”, assegnata dall’art. 1457 c.c. al rapporto giuridico: la rinuncia darebbe luogo ad un fatto impeditivo, capace di sottrarre al contratto, il cui termine essenziale sia scaduto, il valore di fattispecie risolutiva. Se l’accoglimento della prima ipotesi è precluso dalla circostanza che la risoluzione deve essere rilevata d’ufficio dal giudice (il quale è tenuto ad accertare la rilevanza o l’irrilevanza del titolo sul quale ciascuna parte fonda la propria domanda), la seconda ipotesi potrebbe ammettersi soltanto ove la rinuncia all’essenzialità del termine, così come anche la proroga la dilazione o la tolleranza posteriori al decorso dello stesso, fossero suscettibili di essere intese quali contegni delle parti, la cui valutazione consenta di risalire ad una comune intenzione che, confrontata con il testo contrattuale, lasci desumere l’inessenzialità del termine originariamente fissato. Ed è proprio questa la strada percorsa nel testo. Un discorso a parte è dedicato alla questione posta dalla richiesta di adempimento, che sia formulata dal creditore entro tre giorni dalla scadenza del termine. Decorso il termine essenziale, il contratto conserva rilevanza per ulteriori tre giorni; la sua efficacia, però, è sospensivamente condizionata alla dichiarazione del creditore. La “notizia”, di cui all'art. 1457 c.c., è fatto condizionante l’efficacia del titolo originario: essa consente di sciogliere l’incertezza in ordine alla permanenza dell’interesse in capo al creditore e di rimuovere lo stato di pendenza del rapporto; in assenza della “notizia”, il titolo originario rimarrà definitivamente inefficace. La mora del debitore si atteggerà diversamente in relazione al contenuto della dichiarazione creditoria; ove la “notizia” includa in sé la pretesa, il debitore sarà costituito in mora con la notizia medesima; ove la “notizia” sia disgiunta dalla pretesa, il rapporto risulterà prorogato ed il debitore soltanto al momento dell’esercizio della pretesa sarà costituito in mora (oppure alla scadenza del nuovo termine, nelle ipotesi di mora ex re). Fino al momento in cui il creditore emette la “notizia” il contratto è inefficace e la prestazione ripetibile, ma a diverse conclusioni si deve pervenire ove il creditore accetti la prestazione eseguita entro i tre giorni: l’accettazione implica la volontà che la prestazione, sia pure tardivamente, venga eseguita; al pari della “notizia”, l’accettazione rivela l’interesse del creditore alla esecuzione della prestazione. In due ipotesi, peraltro, la prestazione risulta inesigibile anche entro i tre giorni successivi all’inadempimento: quella in cui l’essenzialità del termine sia stabilita direttamente dal tipo legale scelto dalle parti; e quella in cui vi siano un patto od un uso che alla inesigibilità facciano riferimento. Con particolare riguardo alla prima ipotesi, la “notizia” inciderebbe a tal punto sul titolo, da impedirne la sussumibilità entro l’originario tipo normativo; dunque essa assumerebbe efficacia costitutiva: ma sembra da escludere che l’ordinamento consenta la costituzione di nuovi rapporti a seguito di dichiarazioni di una parte disgiunte da atti unilaterali dell’altra parte, almeno ove esse determinino effetti sfavorevoli in capo a chi non abbia partecipato alla formazione del rapporto.
2004
8814113408
Termine essenziale e adempimento tardivo / Proto, Massimo. - (2004), pp. VII-216.
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