Ancora oggi, nel gergo parmigiano, il termine “capannone” è sinonimo di rozzo, sgraziato e in tanti lo usano per definire quelle persone che fuoriescono dall’etichetta dei modi urbani, civili, beneducati. Altri, viceversa, lo usano per dirsi orgogliosi di appartenere alle classi popolari, per rivendicare la propria opposizione alle dinamiche della società benestante e perbenista, per manifestare sfrontatamente un linguaggio e una gestualità più che anticonformisti, al limite del volgare. Molti lo usano ma pochi, soprattutto tra i più giovani, sanno quale sia la sua origine, intimamente legata alla storia di Parma, al ribellismo delle sue classi popolari, allo sventramento dell’Oltretorrente da parte del regime fascista, all’allontanamento di molte famiglie in caseggiati ultrapopolari in zone fuori dal centro urbano: i Capannoni appunto, così soprannominati per la loro grossolana forma a capanna. Capannoni in cui, per molto tempo, sono regnati miseria e degrado e che la città benpensante ha frequentemente guardato con disprezzo e sospetto. Costruiti tra il 1929 e il 1933, i Capannoni furono abbattuti dalle amministrazioni democratiche nel secondo dopoguerra, tra la fine degli anni Cinquanta e il 1970 quando, negli anni del miracolo economico e oltre, alle numerose famiglie che affollavano la Navetta, il Cornocchio, il Cristo, il Paullo o il Castelletto, furono assegnate nuove e più dignitose case popolari. Il contributo analizza in particolare le trasformazioni avvenute sulla città dopo la demolizione dei Capannoni e con la realizzazione di edilizia residenziale pubblica.

La città dopo i Capannoni / Vernizzi, Chiara; Gravante, Alessandra. - STAMPA. - (2020), pp. 169-183.

La città dopo i Capannoni

Vernizzi Chiara
;
2020-01-01

Abstract

Ancora oggi, nel gergo parmigiano, il termine “capannone” è sinonimo di rozzo, sgraziato e in tanti lo usano per definire quelle persone che fuoriescono dall’etichetta dei modi urbani, civili, beneducati. Altri, viceversa, lo usano per dirsi orgogliosi di appartenere alle classi popolari, per rivendicare la propria opposizione alle dinamiche della società benestante e perbenista, per manifestare sfrontatamente un linguaggio e una gestualità più che anticonformisti, al limite del volgare. Molti lo usano ma pochi, soprattutto tra i più giovani, sanno quale sia la sua origine, intimamente legata alla storia di Parma, al ribellismo delle sue classi popolari, allo sventramento dell’Oltretorrente da parte del regime fascista, all’allontanamento di molte famiglie in caseggiati ultrapopolari in zone fuori dal centro urbano: i Capannoni appunto, così soprannominati per la loro grossolana forma a capanna. Capannoni in cui, per molto tempo, sono regnati miseria e degrado e che la città benpensante ha frequentemente guardato con disprezzo e sospetto. Costruiti tra il 1929 e il 1933, i Capannoni furono abbattuti dalle amministrazioni democratiche nel secondo dopoguerra, tra la fine degli anni Cinquanta e il 1970 quando, negli anni del miracolo economico e oltre, alle numerose famiglie che affollavano la Navetta, il Cornocchio, il Cristo, il Paullo o il Castelletto, furono assegnate nuove e più dignitose case popolari. Il contributo analizza in particolare le trasformazioni avvenute sulla città dopo la demolizione dei Capannoni e con la realizzazione di edilizia residenziale pubblica.
2020
978-88-7847-593-9
La città dopo i Capannoni / Vernizzi, Chiara; Gravante, Alessandra. - STAMPA. - (2020), pp. 169-183.
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