Le nostre conoscenze riguardanti i vari aspetti della riabilitazione degli uccelli rapaci e del successo dei rilasci sono molto sproporzionate. Infatti, mentre si è fatto molto per migliorare gli aspetti "medici", della cura fisica e della funzionalità dei rapaci nel periodo del recupero, si sa molto poco circa la fase successiva. La stessa letteratura scientifica rivela che solo poche pubblicazioni sono rivolte all'accertamento di che cosa effettivamente succeda ai rapaci vengono rilasciati e lo stesso loro nuovo reclutamento all'interno delle popolazioni selvatiche è solamente ipotizzato. Gli stessi studi non si rivolgono, in generale, alla descrizione del comportamento dei rapaci, ma si limitano a riportare dati relativi all'incontro con individui marcati o al ritorno degli anelli. Lo scopo di questo intervento è multiplo. Da un lato cercare di "legare" le due fasi della riabilitazione, ponendo l'accento sul concetto che le cure mediche, con il successivo recupero fisico, non sono altro che la prima fase della riabilitazione e che la liberazione non deve esser considerata come il momento terminale del processo riabilitativo. Il rilascio non è altro che l'inizio della seconda parte; se non si riesce ad avere un'informazione sul destino dei rapaci dopo la liberazione si rischia di spendere grandi quantità di energie inutilmente, riabilitando individui che poi non si sa se si inseriscono nell'ambiente. Per questo verranno illustrate alcune situazioni in cui sono stati seguiti da vicino dei rapci di varie specie per valutarne il successo nel reinserimento in ambiente naturale. Un secondo aspetto, che deve esser tenuto attentamente in cosiderazione, è che un buon successo nella liberazione si basa anche sulla mancanza, o almeno l'estrema limitazione, di esperienze negative che il rapace deve affrontare durante la cattività. In questo periodo, spesso protratto anche per mesi, situazioni di sovraffollamento, di ripetuta vicinanza con gli esseri umani, di monotonia alimentare, unita all'assenza di allenamento alla predazione, possono alterare in varia misura il comportamento degli individui, creando in conseguenza problemi anche di sopravvivenza successivamente al rilascio in natura. A quel punto si tratterà di dare una risposta alla domanda: "Se il rapace che abbiamo liberato non è sopravvissuto (a lungo), gli investimenti della riabilitazione in risorse umane ed economiche hanno avuto un senso?"

Efficacia del recupero di uccelli rapaci / Csermely, Davide. - (1998). (Intervento presentato al convegno Convegno Nazionale “Tra scienza e coscienza: il recupero della fauna selvatica” tenutosi a Sabaudia (LT) nel Giugno 1998).

Efficacia del recupero di uccelli rapaci

CSERMELY, Davide
1998-01-01

Abstract

Le nostre conoscenze riguardanti i vari aspetti della riabilitazione degli uccelli rapaci e del successo dei rilasci sono molto sproporzionate. Infatti, mentre si è fatto molto per migliorare gli aspetti "medici", della cura fisica e della funzionalità dei rapaci nel periodo del recupero, si sa molto poco circa la fase successiva. La stessa letteratura scientifica rivela che solo poche pubblicazioni sono rivolte all'accertamento di che cosa effettivamente succeda ai rapaci vengono rilasciati e lo stesso loro nuovo reclutamento all'interno delle popolazioni selvatiche è solamente ipotizzato. Gli stessi studi non si rivolgono, in generale, alla descrizione del comportamento dei rapaci, ma si limitano a riportare dati relativi all'incontro con individui marcati o al ritorno degli anelli. Lo scopo di questo intervento è multiplo. Da un lato cercare di "legare" le due fasi della riabilitazione, ponendo l'accento sul concetto che le cure mediche, con il successivo recupero fisico, non sono altro che la prima fase della riabilitazione e che la liberazione non deve esser considerata come il momento terminale del processo riabilitativo. Il rilascio non è altro che l'inizio della seconda parte; se non si riesce ad avere un'informazione sul destino dei rapaci dopo la liberazione si rischia di spendere grandi quantità di energie inutilmente, riabilitando individui che poi non si sa se si inseriscono nell'ambiente. Per questo verranno illustrate alcune situazioni in cui sono stati seguiti da vicino dei rapci di varie specie per valutarne il successo nel reinserimento in ambiente naturale. Un secondo aspetto, che deve esser tenuto attentamente in cosiderazione, è che un buon successo nella liberazione si basa anche sulla mancanza, o almeno l'estrema limitazione, di esperienze negative che il rapace deve affrontare durante la cattività. In questo periodo, spesso protratto anche per mesi, situazioni di sovraffollamento, di ripetuta vicinanza con gli esseri umani, di monotonia alimentare, unita all'assenza di allenamento alla predazione, possono alterare in varia misura il comportamento degli individui, creando in conseguenza problemi anche di sopravvivenza successivamente al rilascio in natura. A quel punto si tratterà di dare una risposta alla domanda: "Se il rapace che abbiamo liberato non è sopravvissuto (a lungo), gli investimenti della riabilitazione in risorse umane ed economiche hanno avuto un senso?"
1998
Efficacia del recupero di uccelli rapaci / Csermely, Davide. - (1998). (Intervento presentato al convegno Convegno Nazionale “Tra scienza e coscienza: il recupero della fauna selvatica” tenutosi a Sabaudia (LT) nel Giugno 1998).
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